Stefano Bonaccini (foto LaPresse)

Dicesi sette euro

Redazione

Stefano Bonaccini, segretario regionale del Partito democratico e candidato alle primarie per la candidatura a governatore dell’Emilia Romagna, è indagato per aver richiesto alla Regione rimborsi per meno di 4.000 euro per un periodo di 19 mesi, circa 200 euro mensili di rimborsi chilometrici e di pranzi di lavoro.

Stefano Bonaccini, segretario regionale del Partito democratico e candidato alle primarie per la carica di governatore dell’Emilia Romagna, è indagato per aver richiesto alla regione rimborsi per meno di 4.000 euro per un periodo di 19 mesi, circa 200 euro mensili di rimborsi chilometrici e di pranzi di lavoro (7 euro al giorno). Bonaccini ha detto che darà giustificazione minuziosa di ogni rimborso richiesto, e naturalmente si vedrà come andrà a finire. Lo stesso vale per l’altro candidato, Matteo Richetti, che ha rinunciato dopo l’annuncio dell’indagine sui suoi rimborsi, che arrivano invece a 5.500 euro. Quello che invece è già evidente è che tutti i titoli dei giornali stampati e televisivi sulle “spese pazze”, che vengono inesorabilmente perseguite da ineccepibili controllori giudiziari, sono una tale esagerazione da sfiorare la falsità. Che ci siano stati e ci siano abusi nell’utilizzo del pubblico denaro è innegabile, ma proprio per questo non bisognerebbe abbandonarsi a generalizzazioni fuorvianti e persino controproducenti. Alla fine, come si sa, se sono tutti ladri, nessuno è ladro.

 

[**Video_box_2**]Più interessante risulta invece la tempistica particolarmente sincronizzata tra la rivelazione del contenuto delle inchieste e le vicende politiche che interessano gli inquisiti. Se una procura indaga sulle spese dei membri di un’assemblea regionale, è ovvio che sottoponga a controllo tutte le richieste di rimborso. Che questo significhi che automaticamente spese irrisorie vengano presentate dal circuito mediatico-giudiziario come scandalosi sperperi proprio nel momento in cui quelle persone partecipano a una competizione politica è piuttosto singolare. Viene naturale il sospetto che si voglia far pesare una specie di ricatto giustizialista preventivo su chi si accinge a competere per ottenere una carica amministrativa rilevante. Se ci sono stati abusi è giusto che vengano perseguiti, ma questo deve avvenire solo quando ci siano prove e condanne, non solo insinuazioni amplificate dal megafono dello scandalismo, che comunque lasceranno un’ombra sulla onorabilità di persone che non hanno ancora avuto neppure la possibilità di fornire documentazione delle spese sostenute. La macchina della delegittimazione funziona così e sarebbe ora di fermarla.