Il presidente della Bce Mario Draghi (Foto AP)

Il banchiere del New Deal

Ugo Bertone

Draghi fa lo statista e inizia con i tassi a zero. “Il costo di riforme impopolari è nulla a confronto con i costi della non crescita”.

Milano. Scende l’euro, le Borse salgono. Anzi, Piazza Affari vola come nei giorni più memorabili, poco sotto il 3 per cento. Per merito, al solito, delle misure enunciate da Mario Draghi. In particolare, la Banca centrale si prepara a inondare i mercati di liquidità grazie all’acquisto di Abs, prodotti che incorporano prestiti a famiglie e imprese e covered bond per un importo che potrebbe arrivare anche a mille miliardi. In attesa di attivare l’arma “atomica”, il Quantitative easing di cui, assicura Mario Draghi, si è a lungo discusso ieri nella riunione del direttorio della Banca centrale, che ha comunque preso decisioni forti, come mai nella storia dell’Eurotower. Poi – mossa che non molti avevano previsto – da ieri il tasso di sconto principale, quello che la Bce pratica alle banche, scivola da 0,15 a 0,05 per cento. Intanto gli istituti (o le grandi tesorerie dei gruppi francesi e tedeschi) che depositano la liquidità presso l’istituto di Francoforte dovranno pagare un interesse negativo dello 0,30 per cento (dieci decimi in più di prima). Ecco le prime mosse del Draghi deal, come il Financial Times ha definito il tenativo del banchiere di risvegliare tra i leader europei lo spirito del New deal rooseveltiano. Qualcosa di più dell’ennesimo, pur coraggioso, pacchetto per far respirare l’economia europea. Semmai un colpo di frusta per convincere i premier a rompere gli indugi. Matteo Renzi compreso, perché Draghi, pur rifiutandosi di entrare nel merito del colloquio di agosto con il presidente del Consiglio italiano, sottolinea che “non c’è nessuno stimolo monetario, o di bilancio, che possa rilanciare la crescita senza forti e decise riforme strutturali”. Ovvero, più che invocare modifiche delle regole, Roma e Parigi (e non solo loro), devono usare i margini del Patto Ue “tagliando le tasse molto distorsive e tagliando la spesa più improduttiva”. Nel frattempo, però, la Bce resta sola a reggere l’impatto della frenata dell’economia. Con quali margini di successo?

 

E’ improbabile che il taglio del costo del denaro induca le banche a prestare più quattrini. Ma l’effetto sui cambi, come dimostra la rapida discesa dell’euro sul dollaro, è già in atto, forte e rapido, visto che le quotazioni della moneta unica (attorno a 1,30 o anche meno) sono scese ai minimi dal luglio 2013. Da ieri pomeriggio, infatti, gli speculatori sono tornati a praticare, con profitto sicuro, l’arte del carry trade, che consiste nell’indebitarsi a costo (quasi zero) nella moneta, stavolta l’euro, per acquistare bond in dollari che rendono assai di più. E così Francoforte, senza spesa, ottiene due risultati: l’aumento dell’inflazione, grazie al maggior costo dell’import, energia in testa; ossigeno per l’export, grazie al recupero di competitività dovuto alla svalutazione. Una mossa “alla giapponese”, che fa storcere il naso ai falchi tedeschi per cui una moneta debole è in odore di peccato. E che ha sorpreso i commentatori anglosassoni, abituati all’immagine di una banca ingessata, comunque sottomessa ai canoni più ortodossi.

 

Presidente Draghi, chiede un giornalista americano in conferenza stampa, a giugno aveva garantito che non ci sarebbero stati altri tagli dei tassi. Perché avete cambiato idea? Non crede che così trasmette l’immagine di una banca in confusione? Draghi non si scompone: “La domanda, più che legittima, la posso riformulare così: che cos’è successo di nuovo in questi mesi? Ebbene, ad agosto c’è stato un forte peggioramento dell’outlook a medio termine. Abbiamo visto movimenti al ribasso di tutti gli indicatori delle aspettative inflazionistiche su tutte le scadenze”. I primi dati del terzo trimestre indicano “la perdita di slancio della crescita” e “l’alta disoccupazione che frena la ripresa”. E così le previsioni sono state tagliate: solo lo 0,9 per cento di crescita quest’anno, non più dell’1,6 per il 2015. Davanti al mix di cattive notizie è stato necessario cambiare idea. Lo stesso vale per gli Abs che altro non sono nella versione della Bce che prodotti che impacchettano prestiti “semplici” di famiglie e imprese, senza voler imitare i derivati strutturati hanno creato tanti guai negli Stati Uniti.

 

[**Video_box_2**]Ma su questo fronte, rivela Draghi, c’è stata battaglia: “Abbiamo deciso a maggioranza qualcuno ha votato contro  perché voleva fare di più, altri volevano fare di meno”. Facile immaginare che il pomo della discordia sono i mutui: per la Bundesbank dovevano essere esclusi dagli acquisti, per evitare bolle. A sorpresa, invece Draghi ha rivelato che i prestiti sulla casa (più di mille miliardi, sui 1.400 dell’intero portafoglio di Abs) saranno nell’elenco. Insomma, il presidente ha messo in gioco, sia dentro sia fuori la Bce, il peso del suo carisma e del suo prestigio. Pronto a ripetersi con il varo del Qe che “vuol solo dire che siamo pronti ad acquistare asset che finora abbiamo accolto come garanzie”. Sarà l’ultima potente arma dell’arsenale. Ma se poi non arriveranno rinforzi dai governi dell’Eurozona, la sorte della moneta comune sarà segnata.