Il segretario alla Difesa americano Chuck Hagel (Foto Ap)

"L'America rimarrà in Iraq". Hagel avvisa lo Stato islamico

Redazione

"Dobbiamo essere preparati a tutto. Lo Stato islamico è ben organizzato e finanziato". Il papa telefona ai genitori del reporter.

"Quella in Iraq è una strategia a lungo termine e il coinvolgimento degli Usa non è finito". Così il segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, si è rivolto ieri sera alla stampa assieme al capo di Stato maggiore, Martin Dempsey.

 

Dopo i raid americani che "hanno aiutato le forze irachene a fermare l'avanzata dell'Isis verso Erbil e riconquistare la diga di Mosul", gli Stati Uniti si aspettano che gli jihadisti "tentino nuovi attacchi", ha detto Hagel. Come l'11/9? "Dobbiamo essere preparati a tutto. Lo Stato islamico è al di là di quel che vediamo. E' ben organizzato e finanziato".

 

La sconfitta dello Stato islamico "non può venire solo dai raid aerei", ha aggiunto. Risulta quindi necessaria "una strategia a lungo termine che preveda un governo iracheno inclusivo". Il punto di partenza è il rifornimento di armi ai peshmerga, per poi, una volta ridimensionato il problema Is, creare un governo iracheno inclusivo di tutte le minoranze. In particolare, lo Stato islamico non potrà essere sconfitto se non saranno colpite le sue basi anche in Siria, secondo Hagel. Opzione che non è stata del tutto scartata dal segretario, sebbene le difficoltà implicite in una simile operazione siano notevoli, dato che il confine tra Siria e Iraq è ormai permeabile al punto che i guerriglieri sono liberi di attraversare la frontiera ampliando di molto lo spettro d'azione di un'eventuale offensiva americana. Hagel ha anche affermato che una cooperazione da parte dei paesi della regione è auspicabile.

 


Si stringe il cerchio intorno a 'John', il jihadista presumibilmente britannico comparso nel video che mostra la decapitazione del reporter americano James Foley. Scrive il "Telegraph" che per gli investigatori la chiave per identificare il miliziano del video potrebbe essere Shajul Islam, un medico londinese del Servizio sanitario nazionale, ora sospeso, che era stato arrestato con l'accusa di aver rapito un giornalista britannico, Jonh Cantlie, due anni fa in Siria, ma poi rilasciato per mancanza di prove. L'uomo, 28 anni, si era sempre dichiarato innocente, sostenendo di essere andato in Siria nella sua veste di medico, per assistere i feriti della guerra civile in corso nel paese. Anche suo fratello Razul, 21enne, è andato in Siria, sostiene il quotidiano britannico, e potrebbe essersi arruolato nelle fila dello Stato islamico. L'intelligence lo ha messo in cima alla lista dei sospetti che i servizi stanno esaminando per identificare 'John', descritto come il capo di una cellula di tre jihadisti britannici nota come i 'Beatles', incaricata della gestione degli ostaggi stranieri. Gli investigatori, in particolare, vogliono sapere se Shajul e un suo amico, il 24enne Jubayer Chowdhury, anche lui arrestato per quel rapimento, possono avere informazioni sull'identità del jihadista del video.

 

Il papa telefona ai familiari di Foley

 

Una telefonata "molto lunga" quella di ieri tra Papa Francesco e i genitori di James Foley. Fonti della sala stampa vaticana riferiscono che il Pontefice "è rimasto molto impressionato dalla fede della mamma di Foley". Papa Francesco si è intrattenuto, oltre che con i genitori del ragazzo, anche con un loro parente che parlava spagnolo e che ha fatto da interprete. I genitori di James Foley vivono a Richmond nel New Hampshire. Secondo quanto riferito dal padre gesuita americano James Martin sono "commossi e grati" per l'interesse del Papa. James Foley, 40 anni e cattolico, aveva studiato alla "Marquette University" dei Gesuiti dello Stato del Wisconsin: con loro era sempre rimasto in contatto, informandoli dei suoi spostamenti in zone di guerra, delle missioni umanitarie cui prendeva parte, ma soprattutto chiedeva di essere accompagnato dalla preghiera. Proprio il Rosario, come confessò in una lettera, lo aveva salvato nei mesi di prigionia prima in Libia, poi in Siria dove era stato rapito nel 2012.

 

Continua la controffensiva curda nel nord dell'Iraq. Strage in una moschea: decine di morti

 

Almeno 35 miliziani dello Stato Islamico sono rimasti uccisi in un bombardamento delle forze aeree americane vicino Mosul, nel nord dell'Iraq, dove i curdi continuano ad avanzare. Il capo del Partito democratico del Kurdistan (Pdk) Muhialdin al Masuri ha spiegato che gli aerei hanno colpito un convoglio composto da sette veicoli, pieno di armi e combattenti a Nahia, a 22 chilometri dalla città. Da tre giorni le truppe curde stanno assediando sia Nahia che la vicina Tilkif ma, ha spiegato Al Masuri, i peshmerga non sono ancora entrati nelle due località e si trovano nella vicina città di Wana. I curdi inoltre avanzano verso Samar, dopo aver strappato allo Stato islamico il controllo di quattro villaggi a ovest della diga di Mosul, riconquistata nei giorni scorsi. "Significativi successi" sono stati raggiunti anche nella zona di Sal Ninive, sempre a ovest di Mosul, popolata da molti cristiani e yazidi. Secondo fonti curde gli americani hanno effettuato 90 attacchi aerei dall'8 agosto, quando cominciarono i bombardamenti contro gli jihadisti.

 

E' salito ad almeno 46 morti il bilancio del massacro compiuto da uomini dello Stato islamico contro fedeli sunniti riuniti per la preghiera del venerdì nella moschea di Imam Wais, nella zona di Hamreen nella provincia di Diyala a nord est di Baghdad. Secondo le autorità di Baghdad, le tribù sunnite di Oal-Waisi and al-Jabour si erano rifiutate di unirsi allo Stato islamico.

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