L'ex segretario di Stao americano, Hillary Clinton (Foto Ap)

Hillary contro il Califfato

Gli errori in Siria e i vuoti riempiti dal Califfato. Clinton si smarca da Obama, con un occhio ai sondaggi.

New York. Se l’America avesse addestrato e armato opportunamente i ribelli siriani all’inizio della rivoluzione, promuovendo la nascita di un’opposizione moderata ad Assad, oggi saremmo al punto in cui siamo con lo Stato islamico? La domanda del giornalista Jeffrey Goldberg offre a Hillary Clinton l’occasione per smarcarsi in maniera esplicita dalla posizione senza strategia di Barack Obama: “L’incapacità di aiutare a costruire una Forza armata credibile fra quelli che erano all’origine delle proteste contro Assad, e c’erano islamisti, laici e tutto ciò che c’è in mezzo, ha lasciato un grande vuoto, che ora è stato riempito dai jihadisti”. Quasi contemporaneamente, Obama ripeteva al columnist del New York Times Thomas Friedman che l’idea dei ribelli armati come forza d’interdizione credibile e argine del Califfato “è sempre stata una fantasia”. Non che le divergenze fra Obama e Hillary intorno alla dottrina di politica estera e al ruolo dell’America nel mondo fossero ignote, ma quand’era segretario di stato sotto l’egida dell’ex avversario diventato improbabile alleato erano materia per gli incontri a porte chiuse. Hillary si è ritrovata a capitanare la squadra perdente, quella dei falchi liberal, accanto a Susan Rice e Samantha Power, ma pubblicamente ha sempre dovuto sostenere la sovrapponibilità ideologica fra lei e Obama.

 

Ora che è “soltanto” l’autrice di un libro di memorie e la candidata inevitabile per la Casa Bianca nel 2016, Hillary può sottolineare le divergenze e rivendicare le sue ragioni con la forza del senno di poi. Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo in Siria e in Iraq, ma io intanto avevo ragione, e la crescente minaccia dello Stato islamico è lì a dimostrarlo: questo è il messaggio di Hillary, finalmente pronta, dopo un lungo percorso, a grattare via dal proprio sigillo politico i residui del realismo riluttante di Obama. Lo ha fatto con quella particolare ambiguità che in casa Clinton è elevata al rango di arte politica, cautelandosi  rispetto alle accuse di promuovere una politica neoconservatrice sotto falso nome, come ha detto l’intellettuale neocon Robert Kagan. La visione offerta da Hillary è densa di “smart power” e strumenti alternativi alla forza, ma bastona duro il mantra obamiano in politica estera: “Don’t do stupid shit”. “Non è un principio di gestione – ha detto – e le grandi potenze hanno bisogno di princìpi”. La terza via di Hillary è perfettamente calibrata sulla domanda del mercato politico interno e trae ulteriore legittimità dai bombardamenti ordinati da Obama in Iraq, tardiva soluzione a un vuoto di potere che l’America avrebbe dovuto colmare quando Hillary suggeriva di farlo. Forse i due avranno occasione di discuterne durante la vacanze a Martha’s Vineyard.