Caccia F-18 si levano in volo verso l'Iraq dalla USS George H.W. Bush, in navigazione nel Golfo Persico (Foto Ap)

Perché questa "operazioncina" americana in Iraq non fermerà il Califfo

Redazione

Le bombe di Obama sono un’operazione psicologica. Per fermare lo Stato islamico serve molto di più.

Roma. Tra venerdì e domenica gli aerei e i droni americani hanno bombardato dodici bersagli sparsi e isolati nel nord dell’Iraq, tutti appartenenti allo Stato islamico. Tra gli obiettivi colpiti ci sono un cannone trainato, una postazione di mortaio, un piccolo gruppo di automobili con alcuni combattenti che erano fermi a lato di una strada a pochi chilometri da Erbil. Venerdì il presidente americano, Barack Obama, ha detto che i bombardamenti sono una reazione d’emergenza per fermare le avanguardie dello Stato islamico prima di Erbil, dove vivono migliaia di americani. Il giorno dopo ha detto che i raid aerei “potrebbero andare avanti per mesi”. Di che tipo di campagna aerea si tratta? Ha davvero qualche speranza di funzionare contro lo Stato islamico? O è invece poco più di un’operazione di facciata che scalfirà appena la potenza militare accumulata dagli uomini del Califfo Ibrahim nell’ultimo anno?

 

E’ necessario rivedere qualche precedente storico. Quando nell’agosto 1998 l’allora presidente americano Bill Clinton ordinò di colpire al Qaida, furono lanciati 75 missili Tomahawk su quattro campi d’addestramento in Afghanistan. L’efficacia fu limitata e tre anni dopo arrivarono gli attacchi di al Qaida a New York e Washington. Il capo locale della Cia, Michael Scheuer, commentò: “Anche se Osama bin Laden fosse stato lì, ci sarebbe voluto un gran colpo di fortuna per ucciderlo. Il sito di Khost è molto esteso e copre un grande terreno”. Un altro termine di paragone – certamente estremo – potrebbe essere la campagna di bombardamenti “shock and awe” contro il regime di Saddam Hussein nel 2003 sempre in Iraq: 1.700 missioni in circa due settimane, tra il 21 marzo e il 5 aprile. Infine, un terza campagna, contro un gruppo armato: in questo ultimo conflitto di Gaza gli israeliani hanno dichiarato di avere colpito 4.762 obiettivi di Hamas in meno di un mese, tra l’8 luglio e il 5 agosto.

 

I raid americani nel nord dell’Iraq sono per ora poco più di un’operazione psicologica. Rassicurano i curdi e dimostrano che la Casa Bianca è schierata al loro fianco contro l’avanzata dello Stato islamico ed è pronta a intervenire in caso di necessità.
Per essere efficace una campagna aerea dovrebbe essere più dura e più ampia, non limitata all’Iraq. A giugno lo Stato islamico ha catturato l’equipaggiamento di tre divisioni irachene (e mezza) nell’area di Mosul e Tikrit. Circa 500 blindati Humvee, una cinquantina di pezzi d’artiglieria, un numero incerto di veicoli militari più leggeri. Inoltre ci sono i mezzi presi all’esercito siriano: durante il recente assalto alla base 93, vicino a Raqqa, ha preso almeno 20 carri armati T-55 e altri pezzi d’artiglieria. Neutralizzare questo arsenale richiede  bombardamenti anche in Siria.