Salvataggi paralleli

S'avanza il “canovaccio Alitalia” anche per l'Ilva

Alberto Brambilla

L’acciaieria piace ma ArcelorMittal latita. Alzerà la posta come Etihad?

L’attesa quasi messianica per l’arrivo di un salvatore straniero, quando fortunatamente c’è, non sarà un metodo da manuale per risolvere le crisi industriali nazionali. Ma per l’Alitalia sta funzionando. E s’avanza lo stesso schema per l’Ilva. Le trattative per l’acquisizione dell’ex compagnia di bandiera da parte degli emiratini di Etihad sono cominciate nel novembre dell’anno scorso e dovrebbero concludersi alla fine di questo mese. Sul percorso si sono presentati ostacoli nuovi e difficili da superare: il fallimento scongiurato in extremis con l’intervento dell’azionista pubblico (Poste, ora guardingo sul da farsi), la complessa due diligence fatta da Etihad in primavera, la riluttanza delle banche a rinunciare a parte dei crediti, le recenti allergie sindacali agli esuberi strutturali pretesi dagli emiratini… col governo a recitare la parte di mediatore e di tifoso. Gli “stop & go” sono in larga parte motivati dalle resistenze degli attori coinvolti alle richieste draconiane del cavaliere bianco di Abu Dhabi: disposto a offrire 1,2 miliardi di euro (tra capitale e investimenti) per resuscitare l’ex compagnia di bandiera purché vengano smantellati i riti concertativi, retaggio del carrozzone pubblico che fu Alitalia, e a patto che la costituenda newco sia libera dalle pendenze finanziarie e legali; fardello della fallimentare gestione privata dei “capitani coraggiosi”. 

 

Specularmente lo stesso canovaccio sembra ripetersi con l’Ilva di Taranto a due anni dai primi provvedimenti coercitivi della magistratura. Allora l’azienda reggeva, adesso è in crisi di liquidità e non sono state apportate decisive migliorie per risanare lo stabilimento (l’Aia 2011-2012 è compiuta all’80 per cento). Senza impelagarsi nelle differenze tra i due settori industriali, l’acciaieria è in una situazione simile a quella dell’Alitalia nel novembre 2013 quando servì liquidità immediata (le banche sono disponibili a concedere all’Ilva un prestito ponte per andare avanti qualche mese) e si parlava di possibili compratori. Ieri il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha detto che ci sono almeno quattro o cinque manifestazioni di interesse “serissime” per l’Ilva (se sono serie non dovrebbero essere certe nel numero?) e la più avanzata è quella di ArcelorMittal. Il gruppo franco-indiano è stato invitato dal governo a visitare gli impianti e a studiare i conti. Ma da quando i suoi delegati sono andati a Taranto, a giugno, non ci sono stati sviluppi ufficiali (come ad esempio una lettera d’intenti). Tutti aspettano una mossa. Paradossalmente, per ArcelorMittal qualsiasi opzione è buona: lasciare fallire l’Ilva li avvantaggerebbe in quanto principale concorrente europeo e potrebbe risolvere il problema della sovracapacità produttiva del settore siderurgico, dicono due recenti report di Ubs e Jp Morgan; un’acquisizione potrebbe invece motivare la chiusura di altri impianti in Francia o Spagna con lo stesso risultato per la siderurgia europea auspicato dalle banche d’affari.  

 

Ieri condanna per Fabio Riva (primo grado)   
L’assenza di un piano industriale a oltre un mese dalla trasformazione in legge di quello ambientale – in deroga a quanto previsto dal decreto con cui Letta commissariò l’Ilva –  lascia pensare che le strategie saranno decise da un eventuale acquirente. E i sindacalisti sono già in allarme per tagli al personale per ora nemmeno proposti. I proprietari (commissariati) dell’Ilva, la famiglia Riva, aspettano anch’essi un nuovo azionista col quale investire mentre prosegue l’accerchiamento giudiziario nei loro confronti: è di ieri la condanna in primo grado con l’accusa di “truffa allo stato” per avere beneficiato di contributi pubblici non dovuti – altro filone rispetto a quello per reati ambientali, il cui processo comincerà in autunno – per Fabio Riva e altri manager, più una confisca a loro carico e una multa per la società capogruppo dell’Ilva, la Riva Fire. Il governo ha preferito non aggredire le sostanze sequestrate in via preventiva ai Riva dalla procura di Milano – per effetto di un altro provvedimento per presunte irregolarità fiscali – prima di una condanna definitiva. Tuttavia i giudici milanesi fanno sapere di avere la soluzione alla crisi Ilva: commissariamento con la legge Marzano bis per le società insolventi, riferisce il Corriere. Altra analogia con Alitalia, quella vecchia, che venne poi divisa in bad e good company.

 

 

 

 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.