Guerre tra intelligence

Come ha fatto la Cia a non vedere cosa stava per succedere in Iraq?

Daniele Raineri

I servizi segreti dell’Iraq hanno ostacolato la lotta al terrorismo. Gli aggeggi speciali mandati dall’Iran. “Rintanati in ambasciata”

Com’è successo che l’intelligence americana non ha capito che grandi parti del nord e del centro dell’Iraq stavano per cadere in mano allo Stato islamico – inclusa Mosul, la seconda città del paese con quasi due milioni di abitanti – com’è successo a partire dal 10 giugno scorso? Non che non ci fossero stati avvertimenti: a gennaio era già caduta Falluja, a meno di un’ora di autostrada dalla capitale Baghdad. Inoltre il fallimento a sorpresa in Iraq della Cia e delle altre agenzie di sicurezza americane viene dopo quello di febbraio in Crimea, passata sotto il controllo degli “uomini in verde” mandati da Mosca senza quasi sparare un colpo.

 

Michael Knights, un esperto del Washington Institute specializzato in sicurezza in Iraq, dice al Foglio che i servizi segreti dell’Iraq sostanzialmente obbediscono a quelli dell’Iran e hanno progressivamente impedito agli americani “alleati” di fare il loro lavoro. E non soltanto hanno ostacolato gli americani, ma poi hanno trascurato la lotta al terrorismo. Preferivano l’opposizione politica, oppure “pedinare i diplomatici turchi o del Kuwait”.

 

Secondo tre agenti della Cia sentiti da Newsweek, il governo iracheno sciita del primo ministro Nouri al Maliki da anni è in combutta con l’Iran e conduce una campagna aggressiva contro tutto il personale americano di sicurezza rimasto nel paese. “Ci stanno sopra come una coperta”, dice John Maguire, agente della Cia in congedo che è stato vicecapostazione in Iraq nel 2004 e conserva un’estesa rete di contatti per il suo lavoro di consulente nel campo petrolifero.

 

Anche nel campo della lotta tra agenzie di intelligence si è presentato lo schema sciiti contro sunniti che sta spaccando l’Iraq. I primi bersagli di questa campagna partita dai vertici del governo sono stati i contatti della Cia dentro i servizi segreti iracheni (Inis), soprattutto sunniti e curdi. Maliki ha ordinato una purga di tutti gli agenti sospettati di non essere fedeli al governo sciita più che al paese – a cominciare dal capo, il generale sunnita Mohammed Shahwani, un asset dei servizi americani da anni, fin da prima della caduta di Saddam Hussein. “In pratica, hanno licenziato tutti quelli che avevamo messo ai servizi segreti iracheni e hanno solidificato il controllo degli sciiti e dell’Iran”, dice Maguire.

 

Gli iracheni si sono procurati sistemi sofisticati per intercettare i telefoni cellulari, probabilmente dall’Iran, e hanno cominciato a identificare sistematicamente i contatti della Cia. “Avevano il miglior equipaggiamento messo a disposizione dall’Iran”, compresi gli StingRay, degli aggeggi che si connettono a un telefono cellulare e ne copiano ogni dato, dalla rubrica dei contatti alle foto alla musica.

 

[**Video_box_2**]“Ora stiamo capendo di più” - Come se non bastasse il controspionaggio iraniano, gli agenti della Cia in Iraq sono stati sotto le aspettative. Tre settimane fa un operatore delle Forze speciali americane che ha fatto tre turni nel paese e ora lavora per la Cia ha detto in un’intervista anonima che la maggioranza degli agenti americani “se ne sta rintanata” dentro l’ambasciata nella Zona Verde, l’area fortificata di Baghdad sulle sponde del fiume Tigri che contiene e protegge gli edifici governativi. Gli agenti dei servizi segreti americani non riescono a incontrare le fonti tra i clan sunniti, perché in alcuni casi quelle hanno disertato e sono passate alla guerriglia oppure perché raggiungere le zone dei combattimenti è diventato troppo pericoloso. “Anche se làggiù c’è un sacco di gente, non possono fare granché”, racconta l’ex operativo che è rimasto in contatto con gli ex colleghi. Maguire dice che da civile riconosceva sempre gli agenti americani al lavoro in giro nelle strade di Baghdad: “Vedi una macchina che apre la pista, un’altra dietro di protezione, e in mezzo l’auto con l’agente della Cia che legge un giornale con i piedi sul cruscotto e va a incontrare un contatto”. Ai miei tempi, spiega Maguire, si lavorava fuori dalla Zona Verde, si stava in appartamenti anonimi e sicuri e non si dava nell’occhio. “Tanto grazie alla tecnologia non c’è più bisogno di andare in ambasciata per mandare un messaggio criptato”.

 

Ieri il Washington Post ha scritto che, ancora prima che i soldati americani lasciassero l’Iraq, Maliki aveva già cacciato gli agenti migliori nella lotta al terrorismo perché voleva concentrarsi sull’opposizione. Ora ne sta pagando le conseguenze. Gli americani intanto tentano un recupero veloce. Sono arrivati soldati – il numero totale è salito fino a 700 – droni ed elicotteri. “Ora capiamo di più e abbiamo informazioni migliori”, dice il capo di stato maggiore Martin Dempsey.

 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)