Una parata militare dello Stato islamico a Mosul

"Sono i droni. Anzi no"

Aerei bombardano l'Iraq, Assad si getta nella guerra

Daniele Raineri

Ieri la piccola città di al Qaim in Iraq è stata bombardata dall’aria. Testimoni locali dicono – ma non ci sono fonti indipendenti – che a colpire sono stati gli aerei dell’aviazione siriana.

Ieri la piccola città di al Qaim in Iraq è stata bombardata dall’aria. Testimoni locali dicono – ma non ci sono fonti indipendenti – che a colpire sono stati gli aerei dell’aviazione siriana, impegnati in un raid oltre frontiera contro alcune posizioni dello Stato islamico. Secondo altri testimoni, era già successo lo stesso sabato scorso a Mosul. Poche ore dopo, il servizio in arabo della Bbc ha detto che a bombardare erano stati i droni americani e ha citato “fonti vicine al primo ministro iracheno Nouri al Maliki”, ma il Pentagono ha subito smentito.

 

La situazione in Iraq è talmente incerta che non si sa a colpo sicuro di chi sono gli aerei che bombardano una città. Se è stata davvero l’aviazione del presidente Bashar el Assad, sembra un tentativo di Damasco di accreditarsi nella nuova, eterogenea, improbabile coalizione militare e diplomatica che sta nascendo contro l’offensiva dei jihadisti. Il presidente siriano è stato accusato in passato di risparmiare dai bombardamenti i campi dello Stato islamico e di colpire invece senza pietà quelli dei ribelli nazionalisti, così da eliminare l’opposizione che piace all’occidente e fare restare sul campo soltanto gli estremisti. In questo modo, può riproporre la linea difensiva che promuove dal 2011: “Vedete? O me o al Qaida”. A partire dall’estate scorsa lo Stato islamico ha il controllo della città di Raqqa in Siria e occupa l’ex palazzo del governatore e altri grandi edifici istituzionali  – inoltre sono stati dipinti di nero dallo Stato islamico – ma l’aviazione di Assad bombarda altre zone. A gennaio, alla Conferenza di Ginevra 2, un attivista politico siriano ha inseguito il capo della delegazione governativa mandata da Damasco chiedendo invano: “Perché non colpite Raqqa? Perché colpite tutte le altre zone? Ho qui le coordinate, perché non lo fate?”. A Ginevra il governo di Assad tentò goffamente di giocare la carta della guerra al terrore, senza riuscirci. Ora sente di avere più possibilità, considerato che nella fretta di rappattumare un argine militare capace di contenere l’offensiva del jihad persino un’alleanza discreta tra Stati Uniti e Iran sembra plausibile. Se vanno bene loro, perché non noi, devono avere pensato a Damasco – che riceve la linea da Teheran.

 

Al Qaim è un bersaglio predestinato di una campagna aerea contro lo Stato islamico. Si trova a poca distanza dal confine con la Siria, su quella rotta che congiunge Raqqa – diventata “capitale” del gruppo – alla provincia di Anbar, che dopo Mosul è la zona con più forte presenza degli uomini di Abu Bakr al Baghdadi (è il capo del gruppo). Al Qaim è assieme ad al Bukamal una tappa di quel corridoio nella Valle dell’Eufrate attraverso cui scorrono uomini e mezzi dello Stato islamico, fino a Falluja e fino a pochi chilometri dalla capitale Baghdad. Due mesi fa, c’era stato un raid in senso inverso: velivoli iracheni avevano distrutto autocisterne dello Stato islamico venti chilometri dentro il territorio siriano.

 

Su quella stessa zona in passato hanno volato anche i droni da ricognizione – non armati – mandati da Washington in risposta alle preoccupazioni di Maliki, dopo l’incontro con il presidente americano Barack Obama nel novembre 2013. Per mesi hanno sorvegliato sporadicamente il confine tra Iraq e Siria, ma sembra che il momento dei droni armati non sia ancora arrivato. Quando la Bbc ha lanciato lo scoop, poi subito smentito, è parso però verosimile, perché ci si aspetta che qualcosa del genere succeda presto. Ieri sono arrivati a Baghdad i primi 300 consiglieri militari americani – anzi, “fino a 300” – promessi da Obama. E’ stato raggiunto un accordo sulla loro immunità giudiziaria, che era la stessa questione su cui si erano rotte nel 2011 le trattative tra Amministrazione Obama e il governo di Maliki. Come cambiano i tempi e le posizioni. Probabilmente quello che spera anche Assad.

 

Tra i consiglieri militari ci sono Berretti verdi, specializzati anche nell’identificazione e nel puntamento laser dei bersagli a terra, a favore degli aerei. Quindi un ruolo più di combattimento rispetto a quelli vaghi “di ausilio” di cui si è parlato finora. Se accadrà, sarà comunque in ritardo rispetto alle manovre dello Stato islamico, che ieri ha sfilato in parata a Mosul e ha rivendicato ancora una volta il controllo della raffineria gigantesca di Baiji.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)