Combattenti dell'Isis in marcia a Raqqa, Siria (Foto Ap)

La trimestrale di Isis

Il gruppo di al Baghdadi dà l’assalto alla più grande raffineria dell’Iraq. La conquista fa parte di un business model che lo rende economicamente indipendente. Tutto documentato in “al Naba”, un report in stile aziendale.

New York. Ieri gli estremisti dell’Isis hanno conquistato la più grande raffineria dell’Iraq, a Baiji, a metà strada fra Mosul e Baghdad. La settimana scorsa i miliziani del gruppo sunnita che sta estendendo il suo controllo su vaste aree del paese hanno circondato l’impianto che rifornisce di prodotti petroliferi raffinati undici province irachene, e ieri mattina hanno piegato la resistenza delle guardie armate e dell’esercito iracheno, sostenuto anche dalle forze aeree. L’esercito offre una versione opposta degli eventi, sostendendo che la raffineria, obiettivo strategico cruciale nel contesto della guerriglia dell’Isis, “è sotto il controllo delle forze di sicurezza”. Tutte le notizie che arrivano dall’Iraq dicono il contrario. I lavoratori dell’impianto, compresi una cinquantina di stranieri impiegati da multinazionali occidentali, sono stati allontanati, alcune cirsterne sono in fiamme, molte guardie sono scappate o si sono arrese ai terroristi dell’Isis, che hanno fatto almeno 70 prigionieri fra gli uomini in divisa. L’Isis aveva già preso possesso della centrale elettrica della città, che dà energia a tutto il nord del paese, e ora completa l’opera strategica assicurandosi un gigante capace di raffinare i 310 mila barili di petrolio che vengono estratti nell’Iraq settentrionale.
La presa di Baiji è parte di una strategia di finanziamento della macchina terroristica che l’Isis sta implementando con [**Video_box_2**]precisione industriale. Quando i terroristi sunniti hanno imposto le loro insegne nere su Mosul commettendo violenze indicibili hanno contemporanemante svuotato la banca centrale della città, impossessandosi dell’equivalente di 425 milioni di dollari. L’International Business Times dice che hanno preso anche una quantità imprecisata di lingotti d’oro, diventando nel giro di poche ore “la forza terroristica più ricca del mondo”. Questo senza contare i mezzi e le armi – molte di fabbricazione americana – che sono stati sequestrati all’esercito regolare che si è disperso sotto i colpi del gruppo sunnita. La cura con cui l’Isis si sta occupando di racimolare fondi e materie prime non deve stupire. Da almeno due anni, e forse anche di più, Isis pubblica “al Naba”, “il report”, minuto resoconto annuale delle attività del gruppo terroristico: città conquistate, numero di martiri, attacchi suicidi, prigionieri, operazioni di varia natura, territori controllati, infedeli convertiti, combattenti arruolati, mezzi a disposizione e strategie finanziarie. Al Naba è l’incorcio fra una review strategica e la trimestrale di un’azienda, con tanto di grafici e schemi riassuntivi. Nigel Inkster, ex funzionaro dei servizi segreti inglesi, ha detto al Financial Times: “Producono report quasi come fossero un’azienda, se ne deduce la struttura, la pianficazione e la strategia”. Secondo il documento, nel 2013 Isis ha condotto 10 mila operazioni, fra cui un migliaio di esecuzioni o incursioni mirate e almeno 4 mila ordigni esplosivi contro sciiti e soldati regolari; il dettaglio delle vittime non è specificato, ma non è difficile intuire che che Isis è responsabile di una parte consistente degli 8 mila civili uccisi lo scorso anno in Iraq. Alla fine dell’anno Isis poteva contare su 15 mila guerriglieri, 12 mila dei quali non vengono nè dall’Iraq né dalla Siria, e un fondo cassa di oltre 13 milioni di dollari. Il primo ministro iracheno, Nouri al Maliki, accusa l’Arabia Saudita di finanziare il gruppo, ma stando ad al Naba i sostegni finanziari arrivano dai furti e dalle fonti di risorse conquistate (come la raffineria di Baiji) affiancate da rapimenti, estorsioni, racket, traffici illeciti e altre tattiche “più comunemente associate alla mafia che all’estremismo islamico”, come ha scritto Yochi Dreazen sulla rivista Foreign Policy. A Mosul i militanti di Isis hanno messo in piedi una rete di estorsioni e gabelle; nella città siriana di Tal Abyad controllano raffinerie e contrabbandano gasolio in Turchia, con affari da decine di milioni di dollari al mese; impongono pedaggi sui servizi nei territori controllati. Questa “mafia-jihad” permette al gruppo di essere economicamente indipendente dai grandi finanziatori dei paesi del Golfo che sponsorizzano il terrorismo sunnita. “Una parte dei fondi arriva dall’estero, ma non è nulla in confronto al loro sistema di autofinanziamento”, ha detto un funzionario del controterrorismo americano a Foreign Policy. E i finanziatori esteri più attivi al momento provengono dalla Malesia e dall’Indonesia più che dalla galassia saudita.

 

Che il business model terroristico stia funzionando lo dimostrano le armi e gli equipaggiamenti avanzati che i terroristi hanno a dispozione, messi in bella mostra nei video di propaganda con immagini di alta qualità rispetto alla produzione jihadista classica e molto spesso creati per un’audience occidentale. Jessica Lewis, direttore dell Institute for the Study of War, spiega che “l’organizzazione si muove come un esercito e ha ambizioni di costruire uno stato”.

 

Le tecniche mafiose non sono estranee al fondamentalismo islamico, piuttosto fanno leva su interpretazioni della sharia che permettono di impiegare il “bottino di guerra” per finanziare la guerra santa. Si tratta di trovare un accordo sulla definizione di “bottino di guerra”. Il giurista arabo Ahmad ibn Naqib al Misri nel testo classico “La fiducia del viaggiatore” spiega che le risorse sottratte a un nemico ucciso in battaglia possono essere legittimamente usate per la causa islamica; ai non musulmani si possono imporre gabelle per qualunque scopo, mentre un musulmano può essere tassato per finanziare il jihad. Al Misri elenca fra le forme legittime di finanziamento anche il riscatto per un rapimento e l’estorsione, pratica documentata anche in ambito sciita, fra i miliziani di Hezbollah.
Twitter@mattiaferraresi

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