Makkox, fumetti contro l'imbecillità

Salvatore Merlo

Marco Dambrosio, o l’esplosione ritardata e improvvisa del talento. Le vignette, i libri e da un po’ la notorietà in tv. Un seminatore d’incongruo che disprezza la moderna deriva dei social

Di fronte a un piatto di spaghetti, lui che “ho votato Pci e adesso voto Pippo Civati”, si abbandona a una confessione: “Ai grilloleghisti preferivo Mario Monti”. Ed ecco che in un lampo spiega la politica attraverso quello che si potrebbe definire “il paradosso di Hannibal Lecter”, il raffinato cannibale protagonista del “Silenzio degli innocenti”, coltissimo e intelligentissimo, quello che mangiava carne umana ascoltando Bach. “Tutti simpatizzano per Hannibal”, dice. “E secondo me questo è coerente con l’istinto animale”, aggiunge. “Tu sai che se vieni ucciso da uno che ti è superiore, sei ancora nelle regole della natura. Pazienza. E’ darwinismo. Ma se ti mangia un analfabeta incompetente, allora tu dici: e che cazzo, non è giusto!”.

   

“Ho disegnato tutta la vita come un matto, sin da bambino. Ma mai avrei pensato di fare il fumettista per mestiere”

A cinquantadue anni Marco Dambrosio, in arte Makkox, è un caso di esplosione ritardata, rimandata e improvvisa del talento. “Ho disegnato tutta la vita come un matto, sin da bambino. Disegnavo dove capitava, a scuola sul banco, una volta persino nei bagni. Ma mai avrei pensato di fare il fumettista per mestiere. Non facevo vedere niente a nessuno. I disegni li tenevo per me”, fino ai quarant’anni inoltrati, quando “l’azienda pubblicitaria che avevo fondato ormai camminava da sola e avevo tempo libero, abbastanza da aprire un blog per gioco”. Ed ecco le prime vignette messe su internet, la satira politica, “era quasi uno scherzo. Solo che poi a un certo punto arrivò il pubblico. Sempre di più. E allora mi cominciarono a chiamare anche gli editori. A me internet ha cambiato la vita. Mi ha trasformato da pubblicitario in autore. Quei numeri che facevo sul web si sono trasformati in lavoro, in soldi, libri, serie, vignette…” e da qualche anno in televisione, assieme a Diego Bianchi, cioè Zoro, e ad Andrea Salerno, che è il vero complice di Makkox, prima con “Gazebo” su Rai3, poi con “Propaganda live” su La7. Ironizzava Gesualdo Bufalino, che il primo romanzo lo pubblicò a sessant’anni passati: “Con un po’ di pazienza avrei potuto esordire da postumo”.

 

Sette anni fa ha pubblicato e finanziato di tasca sua il fumetto di un ragazzino romano che adesso vende seicentomila copie in libreria

E’ forse per questo – per evitarlo ad altri – che sette anni fa Makkox ha pubblicato e finanziato di tasca sua il fumetto di un ragazzino romano che gli aveva mandato delle tavole disegnate, e che adesso è un autore che vende seicentomila copie in libreria: Zerocalcare. “Inviava i suoi lavori alle case editrici, e quelli lo cestinavano regolarmente”. E perché? “Perché non era assimilabile a nessun altro. Era una cosa nuova. E quindi li spiazzava”. Ma il progresso nasce sempre da una stonatura, da una voce discorde che improvvisamente esce fuori dalla partitura e va per conto suo: l’orchestra si ferma, magari protesta e grida, però la vecchia canzone s’interrompe, e poco dopo il testo di una nuova canzone viene dispiegato sui leggii. “E infatti poi si sono fiondati tutti su di lui come avvoltoi”. E tu? “Io pubblicavo questa rivista di fumetti che si chiamava ‘Canemucco’. Ci disegnavo io stesso, poi facevo una pesca miracolosa di talenti da pubblicare. Quando Zero mi fece vedere il suo lavoro gli dissi subito: ‘Sei un mostro’. La cosa impressionante di Michele è la maturità del lavoro. Le sue prime tavole sono già da autore fatto. Completo. Mi ricordo che gli dissi: ‘Pubblichiamo il fumetto, ma devi anche fare una striscia a settimana sul blog’”. E successe? “Un botto.  Mi chiama il webmaster che gestisce il blog e mi dice che stavamo facendo numeri mai raggiunti prima”.

 

“Zerocalcare ha dato una svegliata in libreria. Prima i fumetti erano come il porno nelle videoteche. Ora li vedi pure da Feltrinelli”

Quel primo albo a fumetti, “La profezia dell’armadillo”, finanziato da Makkox, ha avuto cinque ristampe. “Zerocalcare ha dato una svegliata in libreria. Prima i fumetti erano come il porno nelle videoteche. Ora improvvisamente i disegni li vedi pure da Feltrinelli. E però gli editori vogliono tutti uno Zerocalcare già fatto. Ma non è così che funziona”.

  

Spettinato, squattrinato e garibaldino, a diciassette anni Makkox lasciò la scuola, il liceo scientifico di Gaeta, questo paese meraviglia che non si sa ancora se è nel Lazio o in Campania. “Andai subito a lavorare. Ho fatto di tutto: il traslocatore, il bagnino… E ho anche lavorato in una cava di calcare”. E i tuoi genitori? “Povera gente. Mio padre era un emigrante. Ma in mano a loro forse non avrei mai fatto niente di più del cavatore”. Dalla memoria emergono vecchi ricordi, lontani, un’esistenza sballottata che lui osserva così, come in visione, quasi fosse il passato di un altro. Una storia che lui inzeppa d’ironia, anche amara. “Un giorno mio padre mi disse: ‘Visto che sei dotato per la matematica, perché non studi un sistema per farmi vincere con la schedina?’. Uno poteva pensare che volesse darmi dei consigli per la carriera, che so: ‘Visto che sei così bravo con i numeri dovresti pensare di andare all’università e magari un giorno entrare al Cern’. Invece gli interessava il totocalcio…”. E certo, viste da vicino, vissute, anche le situazioni dai risvolti ironici spesso non fanno ridere, precipitano addosso con un tonfo secco, come quello di un albero abbattuto.

  

“Dopo il lavoro nella cava guadagnai abbastanza e mi comprai il primo computer, era un 486. I Macintosh erano inavvicinabili. Facevo lavoretti da grafico: le magliette, le locandine per le sagre. Poi con un amico architetto aprimmo una società, lavoravamo a casa di sua nonna, te lo puoi immaginare. Facevamo quella pubblicità che in gergo si definisce ‘below the line’, quella fuori dal circuito delle grandi aziende di marketing. Ma ho lavorato anche per quelle, ho lavorato anche per Armando Testa. Un mondo di matti che si fanno delle grandissime pippe. C’è sempre qualcuno che arriva, e tutto convinto dice: ‘Con questa sfondiamo. Diventa virale’. Ma de che? Noi facevamo gli artigiani. Con il mio amico architetto, dopo qualche anno, avevamo tredici dipendenti. E questo fino al 2007”. Poi il blog, il mestiere di vignettista, tutto nuovo, e da qualche anno la notorietà con un pubblico ampio. Televisivo. “Mi è andata bene”, sorride, veterano dell’eterna guerra contro l’imprevedibilità della vita.

  

Esiste una formula della satira? “A me fanno ridere i controsensi. Le incongruenze. Prendo una cosa che fa il governo, e la faccio mia, la sostengo, la porto avanti, la spingo oltre, fino alle conseguenze più surreali. Che sono sempre dietro l’angolo”. Per esempio? “Il casco”. Cioè? “Vista la posizione sull’obbligo vaccinale, mi togliereste anche l’obbligo di ’sto cazzo di casco in moto? Tanto non è che col casco non caschi. Ci sono studi”.

  

L’hai scritta su Twitter questa. “Sì. E c’erano decine di persone che m’hanno preso sul serio. Questa cosa dei vaccini è inquietante. Abbiamo fatto tutto il giro della storia per tornare al medioevo, ma via web. Anche i polli sono nutriti con sistemi tecnologicamente avanzatissimi. Il problema infatti non è la tecnologia, sono le persone. E’ come se si fosse diffusa, di nuovo, l’antica diffidenza contadina. C’è uno al paese mio che preferisce portare il figlio da Ernesto, il guaritore, perché, dice lui: ‘All’ospedale non sai mai che te fanno’. E che te fanno? Te fanno la tac!”.

 

 

E allora Makkox volta in su il palmo, riunisce a punta le dita, e la sua mano oscilla su e giù a indicare commiserazione, a esprimere il platonico e sprezzante interrogativo: ma come siamo messi? Come se l’insensato ciarpame delle superstizioni e del pregiudizio antiscientifico, l’irrazionalità mulinante, non possa che suscitare sarcasmo e quella forma di blanda indulgenza che si riserva a certe umane follie.

  

“Se passa il principio che si può mettere in dubbio la scienza, ecco che inizi a vedere girare per strada anche i primi maghi. E’ un attimo”

“Se passa il principio che si può mettere in dubbio la scienza, ecco che inizi a vedere girare per strada anche i primi maghi. E’ un attimo. Per me già l’omeopatia è quasi una forma di magia”. Ed ecco la fiducia quasi assoluta nelle facoltà dell’intelligenza e della ragione contro quelle della vitalità e dell’istinto, il disprezzo sornione della moderna imbecillità digitale. “Se dipendesse da me darei un ministero al Cicap, a quelli che coltivano lo scetticismo scientifico. E invece abbiamo Carlo Sibilia, quello che dice che non siamo andati sulla Luna, che fa il sottosegretario. Questa è l’altra follia dei nostri tempi. L’idea che il professionismo sia il male. Danilo Toninelli al ministero delle Infrastrutture è come una scimmia sulla moto”, dice, ridendo, in questo suo gioco da seminatore d’incongruo. “Uno dei peggiori sistemi giudiziari al mondo secondo me è quello americano, con la giuria popolare. Dodici persone che non capiscono un cazzo. Ma che è? ‘Ok il prezzo è giusto’?”. E insomma l’Italia sarebbe governata dalle giurie popolari, o da Iva Zanicchi, all’incirca.

 

Chi è il satirico più bravo di tutti? “Altan è raffinatissimo… Ma per me il numero uno è Vincino, con quel suo segnaccio che sembra disegnato male, mentre al contrario è frutto di studio e potrebbe stare al Moma”…

   

[Martedì 21 agosto, è passato qualche giorno dall’intervista. Vincino è morto da poche ore. Chiamo Makkox al telefono. Lo informo. E’ all’estero. Rimane di sasso. “Ho ancora un suo messaggio sul telefono: ‘E allora quel caffè?’. Non l’abbiamo mai preso”. Lo disertano tutte le parole, e tutte le battute. “No”, dice, “non ci sono eredi di Vincino. Per fare uno come Vincino ci vogliono, nella stessa persona, tre capacità espresse al massimo livello: quella del giornalista che capisce i fenomeni, quella del disegnatore fantasioso, e quella del satirico feroce. Non ce n’è più di gente così”. E insomma non c’è un eredità che qualcuno sappia raccogliere, dice Makkox. “Ma Vincino secondo me se n’è andato con una certezza: di essere unico. Non ha eredi ma ha lasciato il suo segno, e neanche piccolo. Guardi una cosa disegnata da lui e lo riconosci subito: questo è Vincino. Credo sia la più grande aspirazione per uno che fa questo mestiere”].

  

 

… E chi non ti piace? “Diciamo che Vauro mi fa lievemente cagare. Poi però quando lo incontro lo chiamo Maestro, ovviamente”. E anche questa è un’incongruenza. “Mauro Biani invece fa vignette che quando le leggo mi fanno venire voglia di morire, per quanto sono tristi. Però lui è simpaticissimo”. Altra incongruenza. E forse Makkox sta facendo satira sulla satira. Chissà. Come quando dice, proprio lui che vive con il grottesco dominante della politica: “Voglio andare a vivere in Olanda perché lì non si parla mai di politica”.

    


“Sì, avrei preferito un accordo del Pd con i Cinque stelle, solo per impedire a Salvini di far crescere tutto ciò che c’è di sbagliato nel cuore dei più disarmati”


 

Parli olandese? “Per fortuna gli olandesi parlano tutti l’inglese. Ci vado spesso, e mi ci voglio trasferire. Qua da noi pare il Cile. Non scherzo. Da ragazzo conobbi degli amici di famiglia che erano cileni, scappavano dalla dittatura di Pinochet. Il novanta per cento dei discorsi che facevano avevano a che fare con la politica. Stavamo a magna’ le vongole? E loro: la politica. Andavamo al cinema? E loro: va bene, ma cinema di denuncia. E che palle! Nei paesi normali non si parla di politica, al massimo dieci minuti al giorno”. Lo diceva anche Montanelli, che di politica scriveva.

   

Renzi “sbaglia tutto, ma è uno dei buoni”. Civati “perde le elezioni, sbaglia ad allearsi con Leu ma sta dalla parte giusta del mondo”

Hai amici tra i vignettisti? “Sono molto amico di Staino. Moltissimo. Ma quando divenne direttore dell’Unità sfornava titoli su Renzi tremendi. Anche meno!”. Renzi non ti piace. “Non mi ha mai rappresentato. Anche se è migliore di altri. Sbaglia tutto, ma è uno dei buoni. Come Civati, che perde tutte le elezioni, sbaglia ad allearsi con Leu e con Pietro Grasso (mammamia), ma sta dalla parte giusta del mondo”. Michele Serra è il più grande satirico d’Italia? “Ti dico solo che ero un lettore accanito di Cuore”. Luca Bottura? “Quando scrive gli articoli lunghi non si capisce niente. Gliel’ho anche detto. Nel guizzo, nelle cose brevissime, è molto meglio”. Al cinema chi ti piace, tra gli italiani? “Checco Zalone è un fenomeno. E’ un antibuonista geniale, prende la scorrettezza e la riporta diritta”. E cosa non ti piace? “Il cinepattone. Quelli che pensano di far ridere con una scorreggia”.

    

Garbato e salace, con gli occhialetti rossi da presbite e una maglietta a maniche corte con su scritto “Movimento Arturo”, Makkox gira per Gaeta, dove passa l’estate (lui vive a Milano), a bordo di una motocross Yamaha Ténéré che sembra uscita direttamente da una Parigi-Dakar degli anni Ottanta. Una motocicletta altissima, “non ho la macchina ma ho sei moto”, sulla quale lui ogni tanto porta in giro anche Andrea Salerno “quando vado a prenderlo a Sabaudia”, il suo amico, il direttore di La7, l’autore di molti dei testi di Corrado Guzzanti, “che è alto più o meno come te”, cioè compatto, ma forse meno rigido nelle curve strette e nei sorpassi a filo cui Makkox – che sembra un orsetto ma è agilissimo – si abbandona sgasando allegramente. “Io e Andrea siamo telepati”, dice. “Siamo entrambi del ’65, e ci siamo ‘mangiati’ le stesse cose. Ci capiamo al volo. A volte a Roma facciamo delle pre-riunioni al bar, per il cazzeggio puro. E ci diciamo sempre: ‘Questa fa ridere. Ma non la possiamo mettere’”. E insomma inventano le battute per ridere loro due, da soli. Paradossi per pochi intimi. Un’amicizia allegra che dev’essere come un gioco, ma è pure un lavoro.

    

E a Gaeta Makkox lo fermano tutti. Si fanno i selfie con lui sul lungomare, davanti al porto, in quel golfo stupendo ai piedi del castello. Gli chiedono dove va in spiaggia. Gli fanno i complimenti, anche le ragazze. La televisione dà una notorietà da capogiro. “Anche se non sai fare niente”, dice lui, con l’implicazione ironica di chi forse è abituato a considerare la vita una lotteria in cui le parti potrebbero benissimo essere invertite. Poi, abbassando la voce di un tono: “Le persone sono gentili di solito. Anche se mi è capitato pure qualcuno che diceva: ‘Dovete mori'’’. E poi una volta un ferroviere al bar: ‘Quando la smettete di fare quei disegni su Conte?’. Se lo sono portato via i suoi colleghi, tanto era arrabbiato”.

      

  

I Cinque stelle li disegni molto. Che pensi di loro? “Cose non belle”, dice, ma con un tono di vasta e divertita bonomia. Di Maio? “Un bel soggetto. Tieni conto che io quelli che disegno non li conosco. Li interpreto, li faccio parlare come parlo io. Sono una proiezione di me”. Però sei amico di Beppe Grillo. “E infatti lo disegno pochissimo. Ho scritto con lui lo spettacolo ‘Grillo vs Grillo’. Lui mi diceva: ‘Lascio il Movimento, voglio mettere in scena questa mia frattura interiore’. E io, che lo amo, gli ho detto di sì. ‘Quando mi ricapita’. Grillo è un vero genio delle incongruenze, anche se non mi piace quando usa i nomignoli per deridere gli altri. Non è un battutista. In quel periodo per molto tempo siamo stati a casa sua a Bibione, in tranquillità assoluta. Scrivevamo. Poi spesso andavamo a trovare medici, scienziati. E allora questi gli spiegavano delle cose tecniche, che lui capiva un po’ a modo suo. Le mischiava. Faceva una confusione pazzesca. Io gli dicevo: ‘Guarda che non è proprio così, non è che mangi il merluzzo e ti sei mangiato anche la bottiglia dell’Ace gentile’. E lui: ‘Ma sì, non importa. Quello che conta è che passi il messaggio’. A casa di Grillo ho conosciuto anche Davide Casaleggio e pure Gianroberto, che era esperto di fantascienza, anzi era una cintura nera della fantascienza, che è un genere che amo. A me Gianroberto dava l’idea di uno che ci credeva al Movimento”.

      

Dice di Casaleggio: “Il padre ha inventato il Movimento, lui lo ha ereditato per successione dinastica. Manco Berlusconi…”

E Davide? “Davide secondo me è un’altra storia. Il padre ha inventato il Movimento, lui lo ha ereditato per successione dinastica. Manco Berlusconi ha fatto una cosa del genere. E poi mi dà sempre l’idea di uno che vuole fare cassa”. Come ogni formula idealistica, anche la palingenesi grillina, anche questa tende fatalmente a incrinarsi sbattendo contro gli aspetti prosaici, meschini della realtà. “Sintetizzo il messaggio di Casaleggio Junior: ‘Ragazzi, al giro precedente abbiamo fatto gli splendidi. A questo giro il governo invece si fa pure con il diavolo’. Ma che discorso è? Non puoi dire che la destra e la sinistra sono uguali, che non cambia niente, altrimenti mi fai pensare che vuoi andare al potere per il potere”.

     

E il diavolo sarebbe Matteo Salvini? “Se devo pensare che è tutto pieno di merda fino al nocciolo, sarei spaventato. Ma non credo sia così. Lui lo sa, in fondo, che quello che dice è sbagliato. Pensa al paesino governato dalla Lega, dove hanno adottato un immigrato. Ho sempre sognato di fare un film sull’ambiguità. Due anni fa andai ad Ardea, lì c’è una cultura fascista che non t’immagini. Ci andai per comprare una moto. Arrivo, e mi accoglie questo skinhead che mi fa: ‘Io vi seguo sempre. Tu sei simpatico. Ma gli altri mi stanno un po’ sul cazzo’. Allora io gli chiedo: ‘Quindi perché ci guardi?’. E lui: ‘Perché siete un po’ divertenti’. E insomma vado a cena con questo skinhead. Una persona gentilissima. Lui si alzava tutte le mattine per andare a lavorare a Roma, da Ardea, quaranta chilometri. Pure la sua ragazza, che fa l’estetista, si alzava ogni mattina con le galline. Questo tipo era ovviamente avvelenato con tutti: i negri, i romeni, le zecche… La ragazza era per lui una specie d’attenuatore d’impatto. Alla fine compro la moto. Ma scopro che la mia macchina non riparte più. Sai com’è finita? E’ finita che lui si è spinto la macchina fino all’officina del meccanico, ha trattato con lui per farmi avere un buon prezzo, e mi ha pure ospitato a dormire a casa sua. La moto gliel’avrò pagata 1.000 euro. Io gli sarò costato, tra tutto, almeno 300 euro. Ecco vedi l’ambiguità di cui parlavo prima. La generosità, che si accompagna a pensieri di una ferocia un po’ astratta e generica”.  Tu avresti preferito un accordo del Pd con i Cinque stelle? “Ma certo. Soltanto per impedire a Salvini di far crescere tutto ciò che c’è di sbagliato nel cuore dei più disarmati”.

     

E qui torna il passato, i ricordi, l’infanzia. “So di cosa parlo, perché la mia famiglia era un po’ così. Erano di gran cuore, ma fasci che non hai idea”. Come Gaber con lo zio della famosa canzone: caro zio fascista / a vederti innaffiare le tue rose / ancora non mi entra nella testa / come hai potuto fare certe cose. “Mi ricordo un pomeriggio con mia nonna che mi porta a sentire Almirante che parlava in Piazza Vanvitelli, a Napoli. Ero piccolo. Non capivo niente. Stavo in mezzo a tutti questi cappottoni, e non riuscivo nemmeno a vedere nulla. Ma mia nonna, fremendo: ‘Senti. Senti che carisma…’.”. E fu così che Makkox invece divenne comunista. E anche questo è forse un paradosso, un’ironica incongruenza in cui stava iscritto un destino satirico.

       

La collana “A tu per tu” di Salvatore Merlo ha ospitato finora Ferruccio de Bortoli, Ezio Mauro, Giancarlo Leone, Flavio Briatore, Fedele Confalonieri, Giovanni Minoli, Luca Cordero di Montezemolo, Urbano Cairo, Claudio Lotito, Giovanni Malagò, Beppe Caschetto, Bruno Vespa, Vincino, Marco Carrai, Ettore Bernabei, Umberto Bossi, Ennio Doris, Paolo Del Debbio, Simona Ercolani, Raffaele Cantone, Milo Manara, Francesco Paolo Tronca, Raffaele La Capria, Carlo De Benedetti, Federico Pizzarotti, Michele Serra, Michele Santoro, Andrea Salerno, Walter Veltroni, Pietro Valsecchi, Marco Bentivogli, Vittorio Sgarbi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.