Dopo la gogna social ho capito di essere stronzo e sfigato. Bene così

Costantino della Gherardesca

L’attivismo politico non è in contraddizione con il Glamour

Non l’avrei mai detto, ma esporsi alla gogna dei social può davvero essere di grande aiuto. Ultimamente, per esempio, mi ha permesso di risolvere una grave crisi identitaria: non riuscivo a capire se ero uno stronzo o solo un povero sfigato.

 

Permettetemi di fare qualche passo indietro e vi spiegherò come sono riuscito a sciogliere questo interrogativo.

 

Mentre scrivo questo pezzo mi trovo in Tanzania, Africa orientale, dove sto girando un programma televisivo. La settimana scorsa, durante una cena con tutta la troupe, sono stato – come al solito – preso per il culo dai miei colleghi. In particolare tre filmmaker (due dei quali hanno votato Potere al Popolo, il terzo Leu) e un autore (che grazie alla magia del voto disgiunto ha potuto sostenere sia PaP sia Leu) mi hanno fatto presente che io, povero piddino incosciente, ho gli occhi foderati di prosciutto. Stando a quello che dicevano questi quattro sostenitori della vera sinistra, Renzi è un miliardario e si dovrebbe indagare più a fondo in quella storia del mutuo che, sempre a detta loro, non è altro che una menzogna. Intorno al tavolo, tutti ridevano e si davano sonore pacche sulle spalle, mentre mi additavano come un clintoniano privilegiato e rincoglionito.

 

Qualche giorno prima, avevo ricevuto un messaggino da Rolling Stone, nel quale mi si chiedeva un piccolo contributo scritto, qualche breve frase contro la xenofobia. “Nessun problema”, avevo risposto, “ho sempre organizzato iniziative contro il razzismo. E non perché sono un buonista, ma perché il razzismo è una roba da merde provinciali”.

 

Butto giù uno dei miei soliti deliri sulle responsabilità del nostro giornalismo alla base dell’ondata xenofoba che ormai detta l’agenda politica del paese, lo invio tramite WhatsApp e, qualche giorno dopo, mi ritrovo citato come “firmatario” di un appello contro Salvini. Anche lì, si scatena una tempesta di merda, assai più intensa di quella che ogni sera subisco a cena con la troupe. I quotidiani di destra scrivono che sono il solito radical chic (qualcuno spieghi a questi signori che per rientrare nella definizione devi essere ricco e mondano, non pieno di debiti e solo come un cane), le testate di sinistra dura e pura invece scrivono che è facile fare gli antirazzisti quando si vive in centro a Milano e si è lontani dai problemi del proletariato tra cui, giuro, le feci di extracomunitario nell’ascensore.

 

Ora, sarà che io sono un clintoniano privilegiato e rincoglionito, ma secondo me elevare le feci di extracomunitario a “grave problema sociale” è la cosa più fascista che abbia mai sentito nella mia vita. In Inghilterra è una roba che potrebbe uscire dalla bocca di uno skinhead di Liverpool. In Italia, a quanto pare, è considerata una cosa da vera sinistra.

 

Un paio di giorni prima di questa rivelazione scatologica, avevo firmato sul Foglio un articolo nel quale mi permettevo di prendere in giro questa sedicente “vera sinistra” che si è fatta portavoce e santa protettrice delle masse diseredate e incomprese (ossia, fascisti e razzisti), ma anche in quel caso mi sono ritrovato con la testa sul ceppo: Costantino della Gherardesca è una frocia liberista dalla parte delle élite ed è un nemico giurato del popolo tradito. Praticamente sarei un ibrido tra Al Sisi e Diane von Fürstenberg.

 

Questa illuminante ondata di insulti e minacce, da estremi opposti, è stata cavalcata da un giornalista del Tempo che, fingendosi volontario di una Ong, mi ha chiamato per pormi la seguente domanda: “Può mandarmi l’indirizzo di casa sua? Vorrei mandarle un immigrato”. Sarò scemo, ma gli scherzi telefonici, soprattutto se così grossolani, so riconoscerli. Per questo non mi sono dilungato e mi sono limitato a rispondergli che sarebbe stato meglio contattarmi via mail per i dettagli della spedizione, neanche stessi parlando con un fattorino di Amazon, anche perché lì dove mi trovavo il telefono prendeva malissimo (cosa peraltro vera, visto che ero sperduto in una zona rurale della Tanzania).

 

Al giornalista-finto-volontario-Ong sono bastate le mie due parole (cucite insieme a quelle di molti altri “firmatari” dell’appello anti-Salvini di “Rolling Stone”) per confezionare un pezzo di un sensazionalismo talmente becero da sollevarmi il morale, la solita, quasi sublime, pagliacciata secondo cui se ti dichiari antirazzista ma non vuoi piazzarti un perfetto estraneo in casa sei un radical chic ipocrita. Sfortunatamente i lettori del Tempo non hanno il mio stesso senso dell’umorismo: le loro reazioni sono state un filino meno divertite della mia.

 

Dopo essersi beccato migliaia di messaggi di malaugurio attraverso tutte le piattaforme mediatiche, uno ha il dovere di porsi delle domande. E io, dopo questa settimana di pesci in faccia, mi sono chiesto: ottenere dissenso a 360 gradi è sintomo della mia stronzaggine o della mia sfiga?

 

Questi giorni particolarmente pieni di insulti, come dicevo in apertura, mi hanno aiutato a far chiarezza. Sono riuscito a varcare un punto di rottura, un po’ come un’anoressica che ricomincia a mangiare, e mi sono finalmente reso conto di essere sia stronzo sia sfigato. Quel genere di stronzo un po’ scemo e un po’ cocciuto. I miei amici di PaP direbbero che sono una Calderoli piddina.

 

Grazie internet, per avermi aiutato a ritrovare me stesso.

 

L’unica amarezza che mi resta è quella di essermi perso una grande occasione per ribadire un concetto che noi italiani proprio non vogliamo mandar giù: l’attivismo politico non è affatto in contraddizione con il glamour.

 

Non sono in Italia, quindi ho saputo troppo tardi dell’esibizione collettiva della maglietta rossa a sostegno dei migranti. Sia ben chiaro: disprezzo profondamente chi si fa portabandiera dei dolori della razza umana, ma odio ancor di più chi invoca la ghigliottina alla vista di un qualsiasi simbolo del lusso. Per questo, quando ho visto che Gad Lerner veniva preso di mira perché ha osato farsi fotografare con una camicetta rossa mentre indossava un Rolex, mi sono detto: “Che peccato, mi sarei potuto esporre anche io. Dovevo esprimere la mia solidarietà a Gad e – in seconda battuta – anche ai migranti. Avrei potuto sfoggiare una maglietta rossa, un Patek Philippe al polso, delle collane d’oro di Bulgari e magari anche un orecchino di Graff. E vaffanculo”.

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