Georges Simenon, Adelphi, 185 pp., 16 euro  

Una fogliata di libri

L'America in automobile

Giulio Silvano

La recensione del libro di Georges Simenon, edito da Adelphi, 185 pp., 16 euro

Come nei suoi romanzi, anche nei suoi reportage Georges Simenon vuole dare un’immagine “intima” degli ambienti, del paese che sta attraversando, della città in cui sta vivendo. Lo dice esplicitamente. Critica quei libri che parlano di paesi lontani e che non vanno a scavare nell’ordinario. “Forse è un po’ ingenuo da parte mia, ma per immaginare la vita di quella gente spesso sento il bisogno di conoscere tutti i particolari della quotidianità”. A bordo di  una Chevrolet parte dal Maine e arriva al Golfo del Messico in quello che lui chiama “un banalissimo viaggio”, ma che è l’affresco fatto da un uomo curioso, capace di cogliere sfumature nelle cose apparentemente più insipide attraverso l’America degli anni ’40. Guerra finita, l’America è allora a livello tecnologico molto più avanti dell’Europa ancora piena di montagne di detriti. Ci sono i frigoriferi, c’è l’aria condizionata. Simenon adora il sud, i gentiluomini e la natura, adora una nazione dove è lo stato al servizio dei cittadini e non viceversa. Un paese dove “nessuno si vergogna del proprio lavoro, qualunque esso sia”. Un paese dove “il bambino è re, il giovane è re”. Un paese dove “il buonumore è una misura di salute pubblica”.


È interessante vedere perché Simenon sia finito in America, dove tra l’altro scriverà alcuni dei suoi “romanzi duri” e dove ambienterà anche dei Maigret, facendo viaggiare il povero commissario, che starebbe così comodo nel suo appartamento parigino o in campagna a pescare. Quella di Simenon in America è quasi una fuga. Le accuse di collaborazionismo potrebbero colpirlo come stanno colpendo altri autori e intellettuali: Louis-Ferdinand Céline, che se la caverà con un po’ di prigione e confisca dei beni, Pierre Drieu La Rochelle, che si suiciderà mentre è ricercato, o Robert Brasillach che verrà invece fucilato per “crimini intellettuali”. L’America degli anni Quaranta è un posto sicuro. Le accuse si mostreranno infondate, ma intanto Simenon è a Baltimora, in Connecticut, a New York, a Miami. E quest’amore che lui condivide per il continente americano, e per la sua gente, è anche un modo per rimproverare l’Europa. Vede nel popolo statunitense un grande ottimismo. Una delle regole nazionali, dice Simenon, è non dimenticarsi che qui “ognuno ha il diritto di pensarla direttamente da voi, e che il contraddittorio è salutare, stimolante, che una belle lite, anche quando ne usciamo con un braccio rotto o con un occhio nero, non è poi così male, perché ci insegna a vivere”. 

 

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