Manifesto criminale

Francesco Musolino

La recensione del libro di Colson Whitehead, Mondadori, 384 pp., 22 euro

Cosa non faremmo per far felici i nostri figli? Bisogna cominciare da qui per comprendere le scelte di Ray Carney, che dopo quattro anni trascorsi nella legalità, vendendo complementi d’arredo stilosi ovvero comode poltrone nel suo negozio ad Harlem, da un giorno all’altro ripiomba nel mondo dei ricettatori, tornando sulle tracce che l’hanno reso una celebrità nell’ambiente, fra brutti ceffi e buste gonfie di dollari per la polizia. Ambientato negli anni Settanta mentre le Black Panthers e il Black Liberation Army mettevano a soqquadro le strade, aizzando alla rivolta e scatenando una serie di attentati contro i poliziotti – rei di essere violenti e corrotti – lo scrittore americano Colson Whitehead torna in pagina con Manifesto criminale (tradotto da Silvia Pareschi e pubblicato da Mondadori), firmando un libro pieno di ritmo, oscuro e a tratti esilarante, cadenzato da una vivace denuncia sociale. 


Due volte vincitore del Premio Pulitzer con La ferrovia sotterranea e I ragazzi della Nickel, osannato dalla critica internazionale che lo accosta a Charles Dickens e Honoré de Balzac per la sua capacità di imbastire trame e raccontare vite che si intrecciano, Whitehead fotografa un nuovo affresco di Harlem con la polizia sulle tracce del Black Liberation Army e una città che affonda nella violenza, fra degrado e una certa, irresistibile, bellezza. E noi seguiamo un padre, Ray Carney (un gradito ritorno, dopo averlo incontrato ne Il ritmo di Harlem) che pur di far felice May – la propria figlia adolescente – si mette alla ricerca di un paio di biglietti per il concerto dei Jackson 5, capitanati da Michael che ruba il cuore alle ammiratrici. Spinto dall’entusiasmo, Ray recupera le vecchie conoscenze nel mondo della criminalità e contatta il detective Munson, ritrovandosi subito invischiato in una partita di gioielli che scottano decisamente troppo. Così inizia a dipanarsi una trama che si svolge fra il 1971 e il ’76, con un gioioso caravanserraglio fatto di ladri, spacciatori, sbirri e giocatori d’azzardo, ricostruendo un mondo glorioso e corrotto, addomesticando il sound della città e facendo ricorso a una lingua ricca e a un ritmo vivace che avvolge il lettore sino all’ultima pagina. Il risultato è Manifesto criminale, un romanzo crime senza alcuna ombra di possibile redenzione. Ecco perché Colson Whitehead è già un classico moderno, tutto da leggere. 

 

Manifesto criminale
Colson Whitehead
Mondadori, 384 pp., 22 euro