La guerra di Nina

Giuseppe Fantasia

La recensione del libro di Imma Vitelli, Longanesi, 308 pp., 16,90 euro

Quando ci si innamora, cosi come quando si fa una rivoluzione, si entra in una sorta di estasi in cui è la speranza a prevalere, comprendendo tutto ciò che seguirà. Lo sa molto bene la giornalista Imma Vitelli, che si è occupata a lungo dei conflitti in Libano, Afghanistan, Siria e in altri posti, vivendo per dieci anni in Medio oriente. “Come il cuore, anche la guerra conosce ragioni che la ragione non comprende”, scrisse James Hillman in uno dei suoi saggi più amati, Un terribile amore per la guerra (Adelphi), ricordandola come pulsione primaria della nostra specie, dotata cioè di una carica libidica non inferiore a quella di altre pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano, quali l’amore e la solidarietà. Il suo presupposto era che se di quella pulsione non si ha una visione lucida, ogni opposizione alla guerra sarà vana; sua convinzione era l’inseparabilità di Ares e Afrodite, di guerra e amore, appunto.

 

Vitelli riprende quella frase e la usa nell’esergo de La guerra di Nina, il suo primo romanzo, intenso, appassionato e pieno di vita nonostante tutto, in cui è proprio quella ragazza del titolo – una giovane e spericolata reporter italiana che vive entrambe quelle situazioni contemporaneamente – la voce narrante tra ingenuità e innocenza. Nel 2013 va in Siria con Omar, un fotografo locale, un uomo con cui Nina condivide un amore tormentato. Partono per Aleppo: lei con i sandali di una “solida marca tedesca”, lui con scarponi da montagna color ocra. Sono entrambi incoscienti e due ambiziosi, perché delusi dall’ordinario.

 

Giunti a destinazione, sono ospitati da un amico di lui, Khaled, che farà di tutto per impedire il loro rapimento, ma invano. Nina si ritroverà così prigioniera di uomini mascherati, dividendo la cella con Amal, un’artista che beve vodka sotto il naso dei fondamentalisti, convinta che il pensiero di Brecht possa salvare la Siria dai suoi peccati. Avrà notizie di Omar da un ragazzino di tredici anni, ma niente è come sembra, nemmeno gli ideali, che celano la loro vera natura, nascondendo faide e vendette personali che avranno conseguenze sui due amanti.

 

Fauda in arabo vuol dire “caso”, mentre islam significa “sottomissione”. Per evitare il primo, c’è dunque il secondo, ma meglio credere nella facoltà di sviluppare le proprie capacità e di metterle in pratica – cioè nella libertà – che anche se non è mai assoluta, ci piace sicuramente  di più.   

 

La guerra di Nina

Imma Vitelli

Longanesi, 308 pp., 16,90 euro