Open Borders. The Science and Ethics of Immigration

Federico Morganti

La recensione del libro di Bryan Caplan e Zach Weinersmith, First Second, 256 pp., 19,99 dollari

L’immigrazione è tra le questioni più polarizzanti del nostro tempo. Bryan Caplan, professore di Economia alla George Mason University e sostenitore degli open borders, ha pensato di dire la sua in un formato espressamente non accademico come il fumetto (con illustrazioni di Zach Weinersmith), per rivolgersi a un pubblico normalmente poco interessato a formule, grafici e spiegazioni prolisse. E’ curioso che una cultura ossessionata dalla disuguaglianza sia oggi più ostile che mai nei confronti dell’immigrazione. Perché l’immigrazione è un potentissimo driver di uguaglianza. Aprire le frontiere significa decuplicare la gamma di scelta per chi offre e chi cerca lavoro. Una migliore divisione del lavoro e più opportunità di creare ricchezza, a beneficio anzitutto di chi ha meno. E’ un punto etico, oltre che economico. Per Caplan, è semplicemente illegittimo escludere dal processo produttivo chi ha avuto la sfortuna di nascere dalla parte “sbagliata” della frontiera.

 

Se l’economista avrà chiari i benefici dell’apertura dei confini, il grande pubblico tenderà a percepire il migrante come un peso. Non è forse vero che nuova manodopera aumenta la concorrenza tra i lavoratori, riducendo i salari? Nient’affatto, perché il neoarrivato consumerà beni che incrementeranno la domanda di lavoro. Una forza di lavoro più ampia consentirà una suddivisione dei compiti più accurata ed estesa, distribuendo la forza lavoro su nuove professioni. Ma, si dirà, l’immigrato rappresenta un peso per le casse pubbliche, in quanto potenziale percettore di welfare. Fu il premio Nobel per l’economia Milton Friedman a sostenere che non si possono avere simultaneamente libera immigrazione e welfare state. Una tesi, per Caplan, irrimediabilmente errata. Pensioni e sanità funzionano tanto meglio quanto più il numero dei lavoratori contribuenti supera quello dei beneficiari di tali programmi (a differenza di quanto avviene in Italia). Ci sarà senz’altro chi riceverà più di quanto avrà dato (anche tra i nativi, peraltro). Eccezioni che, come tali, non forniscono valide ragioni per restringere la libertà di movimento.

 

Ma ammettiamo che le obiezioni all’apertura dei confini siano valide. Meglio pensare a soluzioni specifiche per problemi specifici. L’immigrazione riduce i salari? Meglio tassare di più gli immigrati che metterli alla porta. Gli immigrati assorbono troppa spesa pubblica? Limitiamo il loro accesso al welfare (“meglio erigere un muro a difesa del welfare state che di un paese”, secondo Alex Nowrasteh). Si teme che alcuni popoli non siano in grado di integrarsi? Stabiliamo dei test di ammissione incentrati su padronanza della lingua e cultura generale. E via così. Proposte di fronte alle quali i più strenui sostenitori degli open borders storceranno il naso. I loro oppositori li additeranno come sognatori utopisti. Caplan avrà invece mostrato che si può ragionare sul tema con una buona dose di pragmatismo.

 

Open Borders. The Science and Ethics of Immigration

Bryan Caplan e Zach Weinersmith

First Second, 256 pp., 19,99 dollari

Di più su questi argomenti: