Manifestanti turchi filo-palestinesi protestano contro il piano di pace in medio oriente proposto da Donald Trump, a Istanbul, domenica 9 febbraio 2020 (LaPresse)

Israele guarda ad Ankara con paura

Il governo turco potrebbe prendere il posto degli ayatollah iraniani, scrive il Jerusalem Post

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


  

“Il crescente coro di dichiarazioni anti israeliane proveniente dalla Turchia, in particolare quando si tratta della tossica miscela di retorica religiosa e nazionalista estremista tipica del partito al potere ad Ankara, sta diventando una minaccia sempre più grande per Israele e la stabilità regionale”, scrive il Jerusalem Post.

 

“Dopo l’annuncio che la Turchia avrebbe trasformato in moschea il museo di Haghia Sophia a Istanbul, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che successivamente Ankara ‘libererà’ la moschea di al-Aqsa a Gerusalemme. Negli mesi scorsi il Ministero degli affari religiosi della Turchia e altre voci del governo di Amman hanno ripetutamente propagato il messaggio secondo cui intendono “unire la umma (comunità) islamica” contro lo stato di Israele.

 

La retorica di Ankara ricorda sempre più da vicino gli inizi della retorica anti israeliana nell’Iran di fine anni 70, destinata a trasformarsi in seguito in una potenziale minaccia esistenziale di natura nucleare. La dirigenza religiosa iraniana, come la dirigenza ispirata ai Fratelli Musulmani del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) in Turchia, guarda il mondo attraverso una lente binaria: c’è la ‘umma islamica’ e poi ci sono tutti gli altri. Per gli attuali dirigenti sia in Iran che in Turchia, l’aumento dell’estremismo religioso annuncia la volontà di mobilitare la regione contro Israele. Per anni l’interpretazione prevalente è stata che, se da una parte l’Iran costituiva una minaccia per Israele, dall’altra Ankara e Gerusalemme godevano storicamente di buone relazioni. Ma quelle relazioni hanno preso una piega estremista per il peggio dopo l’operazione antiterrorismo a Gaza del gennaio 2009. Da allora, quella che negli anni 90 era stata una relazione scorrevole è diventata sempre più un rapporto ostile su molteplici piani.

 

In Turchia cresce l’antisemitismo e si registra un’attiva diffusione di teorie complottiste anti ebraiche e anti israeliane. E c’è una crescente mobilitazione delle reti religiose di estrema destra, come quella dietro alla flottiglia filo Hamas della Mavi Marmara, che nel 2010 cercò di rompere il blocco navale antiterrorismo imposto da Israele alla striscia di Gaza. L’attuale governo turco è uno stretto alleato di Hamas. Bombarda impunemente in Siria e Iraq. Adesso ha inviato in Libia mercenari siriani e sue forze navali e aeree. Sebbene questa campagna sembri lontana da Gerusalemme, di fatto la Turchia sta cercando di impadronirsi di una fascia del Mediterraneo per bloccare l’accordo su un oleodotto, siglato da Israele e Grecia all’inizio di quest’anno.

 

L’attuale amministrazione americana ha finora chiuso un occhio quando si tratta di Turchia. Elementi pro Ankara nel Dipartimento di stato Usa hanno assecondando l’agenda estremista della Turchia, accondiscendendo il suo abbraccio con Hamas e altri terroristi. E Israele ha evitato di criticare. Ma l’esperienza in questa regione dimostra che un potere estremista senza freni finisce sempre per attaccare Israele. Gamal Abdel Nasser ricoprì negli anni 50 questo ruolo, che in seguito passò agli ayatollah iraniani. A lungo termine lo stesso potrebbe accadere in Turchia, se i suoi crescenti attacchi ai vicini, la repressione del dissenso e la retorica anti israeliana non verranno contrastati dal mondo occidentale”.

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