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Dall'11/9 a Obama, passando per “True Detective”. L'America di Lorrie Moore

Giampiero Mughini

La pluripremiata scrittrice ha raccolto in un libro vent'anni di articoli. Titolo: "Vedi quello che puoi fare", la dizione che usava l’editor della New York Review of Books nell’affidarle l’uno o l’altro tema. Dal cinema alla politica

Chiedo venia ai miei quindici lettori del Foglio se la mia è la solita solfa. Il fatto che io mi muova continuamente a tentoni fra le pile di libri disseminati nel mio studio a recuperarne qualcuno che mi era come scappato di mano e che invece volevo leggere a tutti i costi. Avevo letto giudizi talmente entusiasti del libro della pluripremiata scrittrice americana sessantaseienne Lorrie Moore dal titolo Vedi quello che puoi fare (La Nave di Teseo, 2021), in cui sono raccolti articoli da lei scritti per riviste americane in questi ultimi vent’anni, da chiedere alla casa editrice di Elisabetta Sgarbi di averne una copia affinché ne scrivessi sul Foglio. Poi, e di questo mi sentivo in colpa, non ne avevo fatto niente. Il libro era stato deposto su una pila scomparendo dalla mia memoria. Mentre cercavo di mettere ordine in un mucchio di libri, mi sono ritrovato in mano Vedi quello che puoi fare, la dizione che usava l’editor della New York Review of Books nell’affidare alla Moore (i cui romanzi sono pubblicati in Italia dalla Bompiani e dalla Nave di Teseo) l’uno o l’altro tema su cui scrivere. E poteva essere un romanzo di Philip Roth o di Bernard Malamud, una serie televisiva, un filmone quale il Titanic di James Cameron, personaggi della misura di Marilyn Monroe o Hillary Clinton, oppure una circostanza drammatica della vita pubblica americana.

La Moore scrive che qualcuno le aveva confidato che lei fosse l’unica collaboratrice della New York Review of Books di cui si capisse quello che voleva dire, ma che lei non pensava fosse un complimento. Per me lo è eccome. A proposito di circostanze drammatiche della vita pubblica americana sono alla pagina 213 del suo libro e ho trovato un articolo che ha per titolo “11 settembre 2011”. Sì, è una sorta di commemorazione del giorno in cui gli aerei manovrati dai criminali di al Qaida si scaraventarono contro le due torri di New York. Sì, le pagine della Moore sono quanto di più semplice, di più facile ad afferrarne la valenza emotiva. In quell’articolo lei racconta di suo fratello che prima aveva l’ufficio in una delle due torri e che a un certo punto venne trasferito in uno degli edifici dirimpetto. Alla mattina dell’11 settembre 2001 era ancora nella metropolitana del World Trade Center quando il primo aereo batté contro una delle due torri a far esplodere l’inferno. Coperto di cenere, suo fratello ci mise otto ore a tornare a piedi a casa sua nel Queens, uno dei quartieri più periferici della città di New York. Il giorno dopo andò regolarmente in ufficio, si sedette e aspettò che arrivasse qualcuno di quelli che avevano lavorato assieme a lui, qualcuno che magari fosse scampato all’inferno della mattina precedente. Non arrivò nessuno. Da brividi.

Oppure l’articolo del 2015 che la Moore dedica all’indimenticabile serie televisiva “True Detective” (di cui è in arrivo su Sky la quarta stagione), quella in cui a fare da protagonisti è il duo mostruoso costituito da Woody Harrelson e Matthew  McConaughey, due poliziotti di cui la Moore scrive così, e sono sicuro mi perdonerete la lunghezza della citazione: “Woody Harrelson, nel ruolo del poliziotto della Luisiana Marty Hart, con il suo arrabbiato mento sporgente […] offre un’interpretazione che cresce sempre più impressionante a ogni visione, mentre Matthew McConaughey, nei panni dell’ex agente della Dea Rust Cohle, con i suoi strani enigmi e le sue affermazioni sentenziose, gonfie di noia, risulta istantaneamente magnetico […] Quando Hart, suo collega da tre mesi, gli chiede se è cristiano, risponde: ‘In termini filosofici sono quello che si definisce un pessimista’. ‘Che significa?’ chiede Hart. ‘Che alle feste non sono di compagnia’. ‘Fidati,’ replica Hart. ‘Non sei di compagnia nemmeno in altre situazioni’”. Da brividi, almeno per i tanti di noi ipnotizzati dalla narratività di “True Detective”. E’ pura gioia guardare insieme Harrelson e McConaughey, scrive la Moore.

Quanto alla politica, lei è stata una democratica americana entusiasta del due volte presidente Barack Obama. Ci tiene a far sapere che al momento delle primarie dei democratici del 2008 lei fece campagna elettorale in Wisconsin e nell’Indiana per lui, che di lì a poco sarebbe divenuto il primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti. Di Obama esalta il primo suo libro, scritto quando aveva 31 anni. Meno le piace Hillary Clinton, di cui analizzerà la sua sconfitta con Donald Trump. Quella strana sconfitta dovuta al fatto che la Clinton avesse preso 107 mila voti in meno del suo avversario nello spicchio decisivo dello scacchiere elettorale, laddove ne aveva presi tre milioni in più nel calcolo totale dei voti espressi. Una sconfitta che colse di sorpresa la Moore, convinta com’era che la Clinton avrebbe vinto alla grande, e di cui cerca di trovare senza riuscirci una sorta di giustificazione razionale: “Pensavo d’altra parte che [la Clinton] fosse una persona intelligente e in gamba e che avesse più ‘carisma’ di quello di cui le dava credito la stampa […] visto che rideva molto ed esprimeva un vero entusiasmo e qualche volta anche il calore di una bellissima cattiveria”. Scendendo nei particolari della campagna elettorale della Clinton ne trova i difetti, ora di superbia nei confronti dell’elettorato locale da persuadere, ora di pressapochismo nel mettere in funzione l’apparato organizzativo del suo partito. E tanto più che il suo avversario aveva l’aria “un po’ come partecipare ad America’s Got Talent. Ottenere davvero la presidenza non sembrava un’opzione plausibile e la cosa lo ha visibilmente stupito […] come il partecipante di un reality show quale davvero era, sembrava voler concorrere per desiderio di avventura e di applausi”. E invece Trump vinse. Così è l’America, ora portentosa per azioni e protagonisti, ora inesplicabile.

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