Benito Mussolini  

uffa!

Mussolini, oltre lo squadrismo

Giampiero Mughini

L'ultimo libro di Antonio Scurati e l'idea che il Duce sia stato un uomo del suo tempo e ne abbia portato la dannazione. Da leggere per non avere dubbi su chi sia stato più criminale tra lui e Stalin 

Mi chiedo come rispondereste, voi lettori del Foglio, a una domanda semplice semplice. Quale dei due regimi è stato più orrido tra il fascismo reale che ha imperversato in Italia tra il 28 ottobre del 1922 e il 25 luglio 1943 e il comunismo reale che ha soverchiato l’Urss tra l’ottobre del 1917 e quel 1956 in cui un comunista sovietico che gli era stato complice a lungo, Nikita Kruschev, denunciò i crimini di Giuseppe Stalin? Vi faccio questa domanda perché ho appena finito di leggere "M. L’uomo della provvidenza" (Bompiani, settembre 2020), il secondo tomo della avvincente tetralogia che Antonio Scurati sta dedicando al destino di Benito Mussolini, il leader politico che connota di sé il fascismo reale al cento per cento. Lo avevo pensato già dopo aver letto il primo tomo, tanto più lo penso adesso. Che “fascismo” e “mussolinismo” sono indisgiungibili, esattamente come sono la stessa cosa “comunismo” e “stalinismo”, anzi ancor di più. Quale tra Mussolini e Stalin è stato più criminale, più assassino, più despota, più capace di mettere a morte il compagno d’arme del giorno prima? Non c’è gara. Leggi i due tomi di Scurati e lo tocchi con mano che Mussolini è un uomo del suo tempo e ne porta la dannazione, dall’esaltazione dell’azione violenta in politica alla radicale svalutazione del sistema della democrazia parlamentare, ma che non è un boia sanguinario come “il piccolo padre” sovietico.

 

Quanto al racconto di Scurati, siamo nel 1925 inoltrato. Pochi mesi da quando Mussolini ha sopraffatto gli avversari politici quel 3 gennaio 1925 in cui alla Camera si era addossato la responsabilità politica e morale di un fatto inaudito, l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti da parte di cinque sicari fascisti, Amerigo Dùmini il loro capo. “Se voi pensate che il fascismo sia solo e soltanto una cricca di criminali assassini e che di quella cricca io sia il capo, non avete che da trarne le conseguenze”, ha tuonato con aria di sfida Mussolini dal suo scranno di capo del governo. Dalle opposizioni in aula non un solo brusio. Perché le opposizioni politiche nell’Italia del gennaio 1925 non esistono più, e non soltanto a causa delle randellate e dell’olio di ricino. L’Aventino è stata soltanto una dimostrazione di impotenza. Non è un caso se Luigi Pirandello si iscrive al Pnf pur dopo il ritrovamento del cadavere di Matteotti nell’estate del 1924, e che lo stesso Benedetto Croce voti a favore del governo mussoliniano pur dopo quella data.

 

 

Vale per il gennaio 1925 quello che scrisse una volta Giorgio Amendola a proposito della Marcia su Roma che diede il potere ai fascisti, che di quell’episodio non è rilevante il fatto che Mussolini arrivasse comodo comodo all’indomani in vagone letto, è rilevante il fatto che mentre gli arditi e gli squadristi fascisti marciavano su Roma il capo del Partito socialista, Giacinto Menotti Serrati, se ne stesse in Urss a organizzare di concerto con il bolscevichi russi l’espulsione dal Psi di Filippo Turati, il cui torto era di essere un socialista “riformista”, uno che non ci pensava neppure lontanamente di voler “fare come in Urss”. E quanto ai liberali alla Giovanni Giolitti, il più grande uomo politico italiano di inizio secolo, l’immagine sua e dei suoi commilitoni era stata lesa da quel che era successo a Fiume nel Natale 1920, quando soldati italiani comandati da Giolitti avevano sparato contro i protagonisti italianissimi dello “psicodramma” fiumano inscenato da Gabriele d’Annunzio. Italiani uccisi da altri italiani. Sta di certo in quella tragedia l’origine del fatto che Re Vittorio Emanuele III nell’ottobre 1922 si sia rifiutato di firmare lo stato d’assedio che bloccasse con le armi la Marcia dei fascisti. Probabilmente sarebbero bastate un paio di raffiche di mitragliatrici, e del resto il fascista Mino Maccari lo aveva pronosticato: “Roma o Orte”, se ci sparano addosso ci fermiamo a Orte e la facciamo finita. Solo che non era facile ordinare il fuoco su cortei in cui erano tanti quelli che avevano il petto gonfio di medaglie al valor militare conquistate sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale, la guerra che avevamo vinto al prezzo di 600 mila morti.

 

Mussolini si era avvalso eccome della furia squadrista dei manganellatori, volgari assassini che avevano imperversato a Torino come a Firenze, fanatici energumeni che erano andati addosso a Piero Gobetti come a Giovanni Amendola (morto però di un tumore e non delle conseguenze delle botte ricevute) e che a colpi di un bastone da passeggio il 23 agosto 1923 avevano ucciso la medaglia d’argento al valor militare don Minzoni. Ma non è quella la chiave della sua politica, tanto è vero che è indefesso il suo spregio di Roberto Farinacci, il ras cremonese che altro alfabeto non conosceva se non quello della violenza. Lui vuole convincere e conquistare il paese reale, non uccidere i migliori dei suoi oppositori. Vuole avere dalla sua gli uomini della Confindustria, vuole sanare la lacerazione con il Vaticano e dunque con il comparto cattolico del popolo italiano. Crea l’Accademia d’Italia pur di vantare i personaggi di rilievo di quell’Accademia che stanno dalla sua parte, da Guglielmo Marconi a Giovanni Gentile. E poi c’è che ha una capacità di lavoro forsennata, che riesce a leggere di tutto ma proprio di tutto, che indice le riunioni del Gran Consiglio del Fascismo alle dieci di sera perché sa che lui regge benissimo alla mancanza di sonno mentre gli altri ben presto  stravaccheranno dalla stanchezza.

 

I grandi giornali internazionali titoleranno che Mussolini e l’Italia sono la stessa cosa. Winston Churchill dice e scrive che ne condivide appieno la sacrosanta lotta “contro il bolscevismo”. Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, gli manda un telegramma in cui si augura che “IL VOSTRO GENIO CONSERVI ALL’ITALIA LA LUCE DELLA SUA GLORIA”. “E’ il più grande statista del tempo nostro”, scrive uno dei cardinali più autorevoli della chiesa cattolica. Non fraintendetemi. Stiamo parlando di un dittatore che ha come agguantato l’Italia e la stringe nel suo pugno. Dal gennaio 1925 l’Italia e basta non esiste più. Esiste solo l’Italia fascista. In tutti i campi e in tutte le professioni, o sei fascista o non sei. Scrive Scurati: “Va fascistizzata la scuola, la pubblica amministrazione, la stampa, la magistratura, la diplomazia, l’esercito. Non solo ministri fascisti ma anche prefetti fascisti, diplomatici fascisti, sindacalisti fascisti”. I professori universitari dovranno giurare fedeltà al fascismo. Nasce un Tribunale speciale adibito a condannare chi lotta contro il fascismo, a non permettere di funzionare al cervello di un comunista quale Antonio Gramsci, e anche se Paolo Mieli ha documentato di recente sul Corriere della Sera che quel tribunale sarà meno spietato di quel che ci si poteva attendere. Quanto ai calciatori della Nazionale italiana, poco prima del fischio d’inizio d’ora in poi saluteranno il pubblico con il saluto fascista. Ci vorranno le bombe americane sul quartiere romano di San Lorenzo perché quel regime cada, quella dittatura finalmente si interrompa.

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