Foto ripresa dal New York Times

Terrazzo

L'ultima biblioteca dell'umanità, nel quartier generale di OpenAI a San Francisco

Camilla Baresani

L'ha creata Sam Altan, il fondatore dell'azienda, per rassicurarci. Se l’intelligenza artificiale finirà per assassinare il lavoro di scrittori, sceneggiatori, editor, traduttori, redattori e giornalisti, quantomeno ha iniziato a farlo con gentilezza

In  pratica, siamo a “Killing me softly”. Se l’intelligenza artificiale finirà per assassinare il lavoro di scrittori, sceneggiatori, editor, traduttori, redattori e giornalisti, quantomeno ha iniziato a farlo con gentilezza. Proprio come nella suadente canzone ispirata a Il gioco del mondo di Julio Cortázar, la procedura è quella della strofa che segue: “Telling my whole life with his words”. Ci spieghiamo: quel geniaccio di Sam Altman, fondatore e Ad di OpenAI, ha pensato bene di creare nella sede sanfranciscana, ex fabbrica di maionese nella Mission, una biblioteca vecchio stile, addirittura “con aura accademica”. La biblioteca è ispirata al ricordo della Green Library di Stanford (l’università dove Altman non ha terminato gli studi, preferendo buttarsi nel mondo delle app per social media), e alla Rose Reading Room della Public Library di Midtown Manhattan: boiserie, scaffali pieni di libri di carta, divani e poltrone da lettura, scrivanie dotate di abat-jour dalle luci calde sotto cui poggiare le pagine quando rabbuia, tappeti persiani che attutiscono i passi. È una finta, per rassicurarci con le sue parole, ossia con libri di carta scritti da esseri umani e poi dati in pasto all’AI: my whole life with his words. La biblioteca è stata mostrata a tutti i principali giornali americani affinché con reportage e fotografie non prodotte da ChatGPT ci facessero sapere che, prima di buttarci sul piano B – cameriere o guida turistica? – ci sarà dato di continuare a scrivere con parole nostre, traendo ispirazione dai classici.

Secondo il New York Times, buona parte dei 1.200 dipendenti di OpenAI crede che l’azienda stia utilizzando la creatività umana per alimentare più creatività umana. Il concetto non ci è chiarissimo. Tuttavia, bisogna ammettere che in quella biblioteca ci staremmo molto volentieri anche noi, fra gli scaffali dove le fotografie mostrano, di costa, libri che vanno dall’Iliade alla biografia di Robert Oppenheimer, da Ma gli androidi sognano pecore elettriche di Philip K. Dick a Infinite Jest di David Foster Wallace, dai classici della letteratura inglese ai coffee table book su flora e fauna. Molti libri della biblioteca sono stati consigliati da collaboratori e dipendenti, altri da ChatGPT. Del resto, la grande domanda è se il tool che permette di scrivere sceneggiature, poemi, romanzi, saggi, reportage sfruttando quello che sinora è stato prodotto dall’intelligenza umana (e difatti il NYT ha fatto causa a OpenAI per violazione del diritto d’autore), potrà d’ora in poi autogenerarsi lasciandoci ai nostri piani B, o avrà bisogno di essere continuamente alimentato dai prodotti del cervello umano. Nel frattempo, chi volesse replicare a casa propria l’accogliente biblioteca, può ispirarsi alle fotografie oppure rivolgersi all’architetta Shannon Gaffney di SkB Architects (Seattle). E chissà che anche lei non stia pensando a un’alternativa, perché vuoi che ChatGPT non sia in grado di fare un progetto architettonico e di interior?

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