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Terrazzo

Mussolini, Tolkien e Pino Insegno: colloquio con Massimo Popolizio

Michele Masneri

Torino. Massimo Popolizio, uno dei più grandi attori di teatro che abbiamo in Italia, è al Salone del Libro per presentare la sua collaborazione con  Audible, la divisione audiolibri di Amazon,  per cui  legge “Il signore degli anelli”. Popolizio, ma lei già ha fatto Mussolini in “M il Figlio del Secolo” a teatro, ora pure Tolkien. Dica la verità, vuole fare Sanremo. Le avranno proposto qualunque cosa. “No. Zero. Però mi invitano continuamente a dei convegni su Mussolini, come se fossi un esperto. Forse perché l’ho interpretato due volte”. Anche al cinema, in “Sono tornato” di Luca Miniero. “Ma erano  tutti spettacoli contro, ma questi mica se ne accorgono…”.  

 

“Il mio Mussolini in M poi era un pazzo, che diceva cose orrende ballando il tip tap”. Un Mussolini molto rothiano, nel senso di Philip Roth, altro autore che Popolizio ha audioletto, con “Pastorale americana”. So che l’autore americano sceglieva lui i suoi lettori. “Sì, gli avevano dato diversi nomi e aveva indicato me, cosa che mi rende molto orgoglioso”. In effetti il Mussolini interpretato da Popolizio sembra un po’ il burattinaio Sabbath, altro gran imbruttito della saga di Roth. Oltretutto è un Duce in coabitazione, nella drammaturgia popoliziana, con Tommaso Ragno a fare il suo doppio.


M è  stato un enorme successo anche a teatro, tutto esaurito, per di più con la mascherina, ai tempi post Covid. “Sì, non era scontato, eravamo 18 persone sul palco, due ore di spettacolo. Niente comunque rispetto alle cinque ore del ‘Pasticciaccio’ di Ronconi”, una delle opere più famose fatte col  suo maestro. Però Popolizio ha saputo alternare teatro e tv, e pure doppiaggi. Sta per dirigere una Tosca al Maggio Fiorentino ma è noto anche per aver fatto Sbardella, il peggio democristiano, nel “Divo” di Sorrentino, e poi il chirurgo estetico trucido Alfio Bracco nella “Grande bellezza” sempre del  regista napoletano, e ancora la voce italiana di Lord Voldemort, il cattivone di “Harry Potter”. “Certo, e va benissimo. Anche se dopo 35 spettacoli con Ronconi ti fermano per chiederti che se potemo fa un un selfiie, a Voldemort?”. 


Però lei fa sempre dei tipacci. “Ma io non sono così, mi dipingono così”. Senta, era più cattivo Ronconi o Voldemort? “Ronconi non era cattivo, era molto esigente. Pretendeva tantissimo. C’era un patto con lui, se accettavi di essere al suo livello poi dovevi continuamente dimostrare di esserlo”. La  vera colpa di Ronconi però è un’altra, è averci lasciato Stefano Massini. “Ma non ce l’ha lasciato!  Massini c’era già prima. Io ho fatto anche ‘Lehman Trilogy’, bellissima opera, dove Ronconi ha molto influito”. Ma sì, si scherza.  Gli audiolibri sono in aumento. C’è sete di audiolibro nel Paese anzi nella nazione. Secondo Audible crescono del 4 per cento annuo, e 11 milioni di italiani non possono farne a meno. Come si fabbricano? “Ti chiudi per ore in uno stanzino, e vai avanti. Con un libro come questo non puoi fare neanche le prove, perché sono 600 pagine la prima parte, e 1100 la seconda, dovresti provare per un anno. Invece ti metti lì con un assistente, sperando di sbagliare e correggerti il meno possibile, e vai. Ne esci stremato. È una prestazione atletica, una specie di kamasutra. C’è chi teorizza che nella lettura devi essere il più neutro possibile, ma io non sono d’accordo. Quando leggi per gli altri è diverso che farlo per te stesso. Non sei tu che elabori delle immagini mentali, a quel punto, sono io che  le devo creare per te. Dunque devo ideare dei primi piani, dei campi lunghi, tutto”. E nello specifico, com’è leggere Tolkien?  “Complesso, anche perché è scritto in elfico, lingua inventata dall’autore della saga. Ci sono molte parole che sembrano nomi di mobili dell’Ikea. Per fortuna su YouTube ci sono dei brani letti da Tolkien in persona. Così li studiamo attentamente, ma ci sono i fan scatenati che ti cazziano, non si legge così”. Oltretutto Tolkien leggeva velocissimo, sembra arabo”.Tolkien islamico! Guardi che la premier Meloni sbrocca. Siamo in campagna elettorale.

 

“No, no, niente politica, per carità”, fa Popolizio. “Ma poi Tolkien era un intellettuale… e questi qui non lo sono mica tanto”. Le devo fare la fatidica domanda, vede un ritorno del fascismo? “Dipende, non è che tornano col fez. Ma c’è indubbiamente un atteggiamento repressivo in atto. E questi ragazzi di vent’anni che vanno a farsi manganellare, comunque, hanno tutta la mia stima. Sono la cosa più viva che c’è al momento, in un mondo in cui tutto è attutito, edulcorato, privo di conflitto. Una volta ci si menava, era tutto più sano”. A proposito, al suo posto per la serie M di prossima uscita su Sky il Duce lo fa  Luca Marinelli, che pure è un suo  compagno di audiolibri rothiani, ha fatto “Lamento di Portnoy”. “Ci sta, io ho 63 anni, largo ai giovani”.


E con Scurati com’è andata la collaborazione? “Mi ha lasciato molta libertà”. Ha sempre l’aria afflitta però Scurati, nonostante l’enorme successo. Ha anche lui un contratto con le major come Buster Keaton, che era tenuto a non sorridere mai? “Buona questa. Comunque no”. Popolizio dice di non amare particolarmente il genere fantasy e però Tolkien lo affascina per due motivi: “la descrizione della natura, che è uno dei due protagonisti del libro. L’altro è il tempo: succedono due cose sempre insieme in contemporanea”. Poi c’è anche il viaggio, e ci si sposta su una mappa geografica. Dopo 250 pagine  chiedo all’assistente: quanto abbiamo fatto, intendendo la distanza? ‘Due millimetri’. Annamo bene”. Senta, ha visto la mostra su Tolkien, molto voluta dal ministro Sangiuliano? “No”. 


E dopo Sbardella e Mussolini, chi le piacerebbe fare? Vannacci? “No!”. Potrebbe leggere l’audiolibro del “Mondo al contrario”. Perchè  i personaggi legati al fascismo li hanno già presi quasi tutti. “Potrei fare Giovanni Gentile”, ride Popolizio. Oppure una cosa tipo “Gino, il maggiordomo di Goebbels”. C’è qualche film brutto di cui si vergogna? “Sì, certo, ma non glielo dico. Sul cinema non hai controllo; invece a teatro sì,  fino ai lacci degli attori. Al cinema sei schiavo del montatore”. Ha visto il film su Ennio Doris? “Pensi che me l’avevano proposto!”. Potrebbe fare un biopic su Pino Insegno. “Ma io e Pino siamo grandissimi amici. Abbiamo iniziato insieme.  La prima tournée della nostra vita, avevamo 19 anni.  Io dovevo ancora entrare in accademia e lui stava al liceo Kennedy. Avevano messo su uno spettacolo che si chiamava “Giulio Cesare è… ma non lo dite a Shakespeare”. E’ cosa? “Frocio”. Ah, ecco. Allora lo vede che deve fare Vannacci? “Lo portammo in giro d’estate in un tour sgangheratissimo a bordo di un pullman dell’Acotral. Dal teatro Clemson, che era dei preti, a Testaccio, fino a un paese che si chiama Montalto Uffugo, in Calabria”. Altri tempi. “Io per permettermi le vacanze feci anche il venditore di pentole. Radunai tutte le amiche di mamma per fare la dimostrazione. L’azienda ci fornì un valigione con tutte le pentole dentro, una Samsonite di pentole. La ditta si chiamava GRA, e noi dicevamo alle signore: non è il Grande Raccordo Anulare. Che battuta del cazzo”. Sì però l’audiolibro di Vannacci? Lo diciamo a Pino? “Sì, va bene, diciamolo a Pino”.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).