quarta parete

La moda delle serie sulla moda: The New Look

La biopic di Christian Dior, che racconta gli enormi cambiamenti in atto nella moda di quel tempo, il legame stretto (e con qualche ambiguità) tra i grandi stilisti e il regime nazista

Gaia Montanaro

La moda si fa seriale. E quest’anno non è certo una novità. Le piattaforme sono invase da prodotti che trattano di grandi stilisti e di case di moda. C’è chi sceglie il taglio biopic, chi si concentra su momenti topici di cambiamento stilistico, chi ha a cuore più la dimensione personale che quella professionale dei vari stilisti. Ultima serie, in ordine di tempo, che ha al centro il mondo dell’haute couture è “The New Look”, dieci episodi disponibili su Apple tv+ che vedono protagonista la rivalità tra Christian Dior e Coco Chanel nella Parigi degli anni Quaranta. Più dramma storico che biopic, “The New Look” – il cui titolo rende omaggio alla prima collezione primavera/estate di Christian Dior così soprannominata dalla redattrice di Harper Bazaar Carmel Snow – racconta, accanto agli enormi cambiamenti in atto nella moda di quel tempo, il legame stretto (e con qualche ambiguità) tra i grandi stilisti e il regime nazista. C’è chi confeziona abiti per le mogli dei gerarchi, chi collabora con il partito per i propri personali interessi d’affari. Ben Mendelsohn e Juliette Binoche – rispettivamente Dior e Coco Chanel – fanno il loro anche se, va detto, la serie appare più un piacere per gli occhi che per la mente.
 

Sarà che arriva ennesima dopo i vari Balenciaga di turno (che peraltro trattano il medesimo periodo storico e quindi gli stessi ambienti e soggetti), sarà che la ricerca estetica è oggettivamente notevole. Girata quasi interamente a Parigi, “The New Look” ha come location i veri ambienti dove gli eventi storici hanno preso corpo (ben pochi dei quali sono stati ricostruiti in studio). C’è la brasserie Le Gallopin, con i suoi interni in mogano istoriati con ghirlande e cartigli (non siamo dalle parti della sobrietà, ndr), l’estetica art nouveau del Maxim’s, uno dei ristoranti più alla moda della Parigi di quegli anni, la suite appartamento del Ritz dove ha vissuto Coco, duecentoquindici metri quadri con carta da parati a racemi e arredi dorati piuttosto che l’atelier di Lucien Lelong e quello di Christian Dior.
 

Tutto è avvolto da una patina quasi nebbiosa – che fa un po’ atmosfera e molto meno drammaturgia – con una predominanza di toni del blu e palette livide. Non siamo nella serie A suprema a livello estetico (quella british style, alla “The Crown”) ma comunque gli americani si sono adoperati. Qualche dettaglio architettonico e ambientale sfugge al controllo rigoroso ma si recupera ampiamente con la cura del vestiario (come immaginare diversamente dato l’argomento seriale). Glenn Close e i suoi tailleur valgono la visione (almeno di qualche episodio) così come le perle di Coco – qui in versione più punitiva del solito. Pare mancare un po’ di amalgama tra la ricerca formale e quella narrativa, un modo insomma per far capire la pertinenza estetica con la storia, la capacità di questi due aspetti di lavorare insieme. Allora sì che il new look apparirebbe in tutta la sua dirompente innovatività.

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