Prototipo Autobianchi Runabout al Salone dell'auto di Torino del 1969 disegnato da Gandini (Foto Getty)

Terrazzo

In morte di Marcello Gandini, l'ultimo stilista delle supercar

Michele Masneri

Se n’è andato a 85 anni Gandini, uno dei grandi stilisti dell’auto. Aveva disegnato la Miura, ma anche utilitarie e pure un elicottero

Chissà come si trovava in un mondo in cui l’auto oltre a essere diventata l’emblema di tutti i mali è anche ormai esteticamente orrenda, ricca di lucine, led, doppie e quadruple marmitte finte, cromature per cinesi e coatti eurasiatici, e scritte che identificano il modello - altrimenti indistinguibile da tutti gli altri - talmente lunghe da occupare due righe. Marcello Gandini, morto la settimana scorsa a Rivoli a 85 anni, era considerato uno degli ultimi grandi stilisti dell’auto (in un raro settore di predominanza italiana prossimo a scomparire).

“Per consuetudine ho fatto il liceo classico”, ha raccontato nel suo discorso di accettazione della laurea honoris causa al Politecnico  di Torino pochi mesi fa. Non proveniva, come accade talvolta, da famiglie modeste e magari agricole,  in cui la passione trattoristica tracimava in quella dell’auto. Il padre Marco, possessore di due lauree, era infatti direttore d’orchestra. “In prima liceo, con i soldi che mi erano stati assegnati per acquistare un libro di traduzioni latine, comprai il manuale Motori endotermici di Dante Giacosa”, il papà della Cinquecento. “Lo lessi, studiai, analizzai in ogni dettaglio fino a impararlo a memoria”. Salta a piè pari l’università, come un moderno startupper, con grande scuorno dei genitori, e si mette a disegnare qualunque cosa, dall’arredo di scuole per l’infanzia a locali notturni divenuti celebri come il Crazy Club di Torino, fino ai primi lavori in campo automobilistico, in collaborazione con la Carrozzeria Marazzi di Milano.

Gli approcci iniziali  non sono felicissimi; si accorge di aver disegnato il primo modellino al contrario, non cioè col muso a sinistra come si usa. Ma poi entra quasi subito nell’empireo delle carrozzerie torinesi: messo su un piccolo portfolio si presenta a Nuccio Bertone, che lo prende immediatamente a lavorare per lui. Passano un paio di anni e a soli 26 anni diventa il suo capo stilista.   Il giovane Marcello non sarebbe diventato Gandini e Bertone, forse, non sarebbe diventato un mito dell’automobile, se i due  non si fossero incontrati. Nel 1966 la carrozzeria  di corso Trapani ha già cinquant’anni e Nuccio, figlio del fondatore, vuole trasformarla in una grande industria. Produce per Alfa Romeo e per Fiat le vetture che i colossi non riescono a costruire in proprio. Ma è lo stile Bertone che fa la differenza. Da sempre Bertone ingaggia i migliori, quelli che osano, che guardano avanti. Li tratta come figli. Ecco perché, dopo gli anni di Giugiaro, Gandini viene riconosciuto come il progettista del nuovo, del mai visto, il talento su cui scommettere.  Marcello, dal canto suo, la prima cosa che fa per Bertone è la Lamborghini Miura. Difficile, a quel punto, mettergli dei limiti. Rimarranno insieme per quattordici anni.

 

“Quando uscì la Miura, chi aveva già un gran turismo la mise in vendita”, si disse ai tempi. Nel 1966, la prima berlinetta a motore centrale crea scompiglio nel mondo. Tutto sembra improvvisamente vecchio. L’architettura e la meccanica (opera di Dallara, Stanzani e Bizzarrini), la linea, i colori chiassosi, e, naturalmente le prestazioni: ogni dettaglio contribuì, per alcuni anni, a fare della Miura la dream-car per eccellenza. L’avevano  gli sportivi, gli attori, i petrolieri e gli sceicchi. Si narra che Nuccio Bertone, di fronte allo chassis, disse a Lamborghini: “Noi faremo la scarpa perfetta per vestire questo piede meraviglioso”.  


Se l’architettura dell’auto fu sovvertita dall’arrivo della Miura, lo studio della Lancia Stratos Zero e poi della Countach rivoluzionò letteralmente il concetto di berlinetta sportiva. Come Giorgio Armani per i vestiti, Gandini cambia tutte le proporzioni. Dopo aver spostato il motore – da sempre anteriore – in posizione centrale, spinse avanti l’abitacolo e accorciò il cofano. Il risultato fu un disegno completamente nuovo, che avrebbe influenzato per quarant’anni la forma delle vetture. Fino ai giorni nostri.  

 

A fine 1979 di dimette dalla Bertone per aprire la sua società con la moglie Claudia. Gli anni Ottanta segnano una collaborazione in esclusiva con Renault, con la nascita della Supercinque che in questi giorni torna con un nuovo remake (gli sarebbe piaciuta? Chissà).  Classicista elegante, capelli bianchi agnelleschi, Gandini viveva su un pendio della montagna piemontese, un ex-santuario settecentesco in cui si era  costruito casa e bottega,  isolato e poco incline all’autocelebrazione.  Non ha disegnato solo supercar: appunto la  Supercinque e la Citroën BX, amatissima dagli architetti (il critico Hugh Pearman l’ha celebrata come uno dei suoi più grandi lasciti)  passando per la Mini Bertone, e  ancora berline come la prima Bmw Serie 5, poi camion, moto e pure un elicottero. Tutte le sue creazioni vennero messe in mostra cinque anni fa al Mauto- Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Ultimamente si dedicava allo studio dei processi produttivi, e aveva criticato il design delle macchine elettriche, considerate un’opportunità mancata, “perché si ostinano a disegnarle imitando le auto tradizionali”. Considerato il più radicale dei car designer, temeva più di tutto la noia e la ripetizione.   

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).