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Roma eterna? Almeno per un quarto di secolo

Manuel Orazi

Il futuro della capitale. Stefano Boeri e il suo laboratorio Roma050 guarda non solo ai lavori per l’imminente giubileo del prossimo anno, ma persino al prossimo. E allora tutti sotto con l’arcipelago

Ci voleva un milanese per radunare gli architetti romani e vari professori internazionali al Macro, l’oscuro museo comunale di arte contemporanea progettato dalla francese Odile Decq con un cesto rosso al centro a due piani di sala conferenze: dentro e sopra per due giorni Stefano Boeri e il suo laboratorio Roma050 (Matteo Costanzo ed Eloisa Susanna, Giorgio Azzariti, Giulia Benati, Jacopo Costanzo, Margherita Erbani, Carmelo Gagliano, Susan Isawi, Riccardo Ruggeri, Marco Tanzilli) che guarda cioè non solo ai lavori per l’imminente giubileo del prossimo anno, ma persino al prossimo. Dopotutto altre capitali europee hanno un piano a lungo termine come The London Infrastructure Plan 2050, Copenaghen ha un piano climatico che arriva addirittura al 2100, mentre da noi di solito si arranca per via della generale idiosincrasia italiana verso la programmazione.

 

E allora tutti sotto con l’arcipelago, figura del nomos del mare applicata alla terra dapprima da Oswald Mathias Ungers e Rem Koolhaas a Berlino Ovest nel 1977, quindi rilanciata negli anni Novanta da Massimo Cacciari con un libro Adelphi e ancora in gran voga nel nuovo secolo. In effetti la capitale è difficile da gestire tutta intera facendo finta che sia una metropoli omogenea come Parigi: solo il VII Municipio, a sud-est, ha più o meno gli stessi abitanti di Bari, il doppio cioè di quelli di Cagliari, mentre il XV, a nord, ha un territorio più esteso della superficie comunale di Firenze o Bologna. Per due giorni oltre a presentare i risultati delle prime analisi, sono stati invitati più o meno tutti, responsabili dei municipi, professori, dirigenti, direttori di musei in una sezione “visioni e città” e nell’altra “idee per Roma”.

   

L’idea è quella di gestire la città come se fosse composta da un gruppo di circa una dozzina di città medie italiane, con i relativi temi e problemi di restauro, infrastrutture, verde pubblico, cambiamento climatico raccogliendo tutte le proposte, e non progetti definiti, in un unico grande “Atlante delle trasformazioni” che sarà seguito, nei prossimi mesi, da un “Affresco delle strategie” – tutto pur di non riesumare la micidiale parola demodé “pianificazione”.

 

Peccato non aver invitato l’architetto e onorevole Fabio Rampelli, avrebbe di certo messo pepe nella discussione. In compenso però c’erano Beatriz Colomina, professoressa catalana di Princeton, il guru angloamericano Richard Sennet, Kersten Geers dello studio brussellese Office e Antonio Spadaro, sottosegretario del dicastero per la Cultura e l’Educazione del Vaticano, e molti altri, tutti innamorati della città eterna e del suo unico coacervo di rovine classiche e modernità anticlassiche. Roma infatti è unica per la compresenza di tre poteri forti che storicamente non si sono mai coordinati: il Comune, lo Stato e il Vaticano, ognuno è sempre andato per la sua strada e forse è arrivato il momento di cambiare.

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