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Terrazzo

La mente nera di Piranesi

Manuel Orazi 

Gli scritti di Pierluigi Panza per Electa e il mondo dei camini 

In un saggio memorabile, Marguerite Yourcenar ha fissato l’attenzione sulla “mente nera” di Giovanni Battista Piranesi, mutuandola da un’espressione precedente di Victor Hugo. Le conosciutissime incisioni, dalle Vedute di Roma alle “focose Carceri” come ancora le definisce la scrittrice belga – sempre più nere, col passare delle edizioni – sono popolate da figure di ogni genere, ricchissime di dettagli come carrozze, animali e oggetti di ogni sorta. Negli ultimi tempi Paolo Portoghesi avrebbe voluto dedicare un libro solo alle figure che si scorgono fra i monumenti incisi, popolani, signori, prelati, viaggiatori, perdigiorno. Insomma le immagini in bianco e nero prodotte dal veneziano di origine istriana non smettono di essere interrogate, dopo aver cambiato per sempre l’immagine internazionale di Roma e dell’Italia in modo del tutto controcorrente rispetto al proprio secolo, quello dei Lumi.

Secondo Francesco Dal Co, la smisuratezza dello spazio era il suo tormento, perciò Piranesi non fu mai geometra. Manfredo Tafuri, analizzando le analogie iconografiche tra Piranesi e il cinema di Ejzenstejn, ricordò a tutti che in una lettera Luigi Vanvitelli lo aveva definito “l’architetto scellerato” proprio per la sua mancanza di misura. Meno noti sono i suoi scritti.

Qualche anno fa meritoriamente Taschen pubblicò tutte le sue acqueforti a cura di Luigi Ficacci, e ora Electa pubblica gli scritti a cura di Pierluigi Panza, con copertina ovviamente tutta nera, anche se il nome del curatore campeggia come fosse l’autore e viceversa quello di Piranesi sta nel titolo in corsivo. Giornalista del Corriere della Sera e docente, Panza frequenta Piranesi sin dalla sua tesi di laurea, con una costanza che mira alla sovrapposizione, vedi il suo romanzo, La croce e la sfinge. Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi (Bompiani, 2009). In questo volume Panza riporta i cinque scritti maggiori e meno frammentari, con al centro il Parere sull’architettura. Dialogo di Protopiro e Didascalo (1765) dove il primo è l’abate Lodoli e il secondo Piranesi stesso, rigorismo contro “capricci d’invenzione”, razionalismo di stampo greco contro irrazionalismo romano. Le meravigliose rovine tanto decantate sono dunque “il contraltare dell’edificio razionalmente edificato, segno del riemergere di un magma dionisiaco che vince l’apollineità classica”. Per lo stesso motivo il grande veneto spuntava spesso nei libri di Alberto Arbasino, sempre insieme con gli altri artisti “lunatici, saturnini, notturni e onirici” come Füssli, tanto che Arba ci aveva arredato il proprio salotto, amando in particolare i caminetti. Il perché lo spiega Piranesi stesso: “Ho per lo migliore il dire, che i Camini formano nell’architettura una particolar classe con leggi, e riguardi suoi proprj; Classe capace di tutti quegli abellimenti, e variazioni, che somministrar può la piccola architettura, anche più di quanto comportarebbe una porta, o la facciata d’un portico: poiche se delle fabriche, e delle supelletili in generale disse già Varrone che in essa noi non cerchiamo di provedere soltanto alla necessità, ma vogliamo trovare anche il diletto, e il piacere”.