Immagine tratta dalla pagina Facebook della Fondation Louis Vuitton 

Terrazzo

Rothko prima di Rothko

Giuseppe Fantasia

A Parigi, alla Fondation Louis Vuitton, c'è la più grande mostra mai realizzata dedicata all'artista lettone/americano

Se si pensa a Mark Rothko (Daugavpils, 1903 - New York, 1970), la prima cosa che viene in mente sono le sue grandi tele colorate, i suoi oli su tela dove i colori più disparati – primari e no – catturano nel loro insieme l’attenzione di chi li guarda, emozionandolo. Se visiterete però la più grande mostra mai realizzata che gli dedica la Fondation Louis Vuitton di Parigi fino al 2 aprile del prossimo anno, troverete delle sorprese. Iniziano al piano inferiore, poco dopo l’entrata principale e accanto a un bookshop ininterrottamente preso d’assalto dai visitatori che da quando la mostra è stata aperta, sono già stati decine di migliaia. 

C’è un suo autoritratto del 1936, quando ancora si chiamava Markus Rothkowicz (nome che cambierà per timore del crescente antisemitismo), con occhiali tondi e scuri, una giacca marrone e una cravatta rossa che spicca sulla camicia bianca, un sorta di Caronte pronto a traghettarvi in quelli che sono stati i suoi iniziali interessi: le opere figurative, quelle in cui prende come soggetto la figura umana in un cinema (Movie Palace, 1934/35), per strada e in famiglia (Family e Interior, entrambi del 1936), tra vestiti e nudità. Ci sono poi opere in cui l’artista lettone/americano manifesta tutto il suo interesse per i mondi antichi, i miti e la tragedia greca, da The Omen of the Eagle a Tiresia, da Antigone al Sacrificio di Ifigenia, tutte realizzate tra il 1940 e il 1944, ma c’è di più. Una serie in particolare ha attirato la nostra attenzione ed è quella delle Subways, i quadri che Rothko ha dedicato alla metropolitana newyorchese “che per lui fu un vero e proprio shock in positivo”, ci spiega suo figlio Christopher, co-curatore della mostra parigina insieme a Suzanne Pagé, direttrice artistica della Fondation Vuitton. Del resto, è facile immaginarlo. Quando la sua famiglia si trasferì nella Grande Mela, Rothko aveva dieci anni e per lui scendere in quei luoghi sotterranei pieni di vita “fu un qualcosa che lo segnò per sempre – aggiunge il figlio – tanto da decidere, trent’anni dopo, di farne il soggetto principale dei disegni di quel periodo”. In The Subway, del 1937, ci sono donne eleganti con il cappello poco distanti da un signore che aspetta il treno appoggiato al suo bastone. In un altro, del 1935, uomini e donne sono seduti nell’attesa, ma da lontano sembra che stiano assistendo a uno spettacolo teatrale. In un altro ancora, del 1938, a dominare sono il colore giallo e l’ottanio sulle colonne dell’entrata di una delle fermate mentre in Underground Fantasy, del 1940, il grigio e il nero dei colori indossati dall’uomo che legge il giornale creano un piacevole contrasto con gli abiti della ragazza in un’atmosfera che ricorda una sfilata di Jacquemus o di Dior. Quegli uomini e quelle donne in un interno dimostrano la plasticità delle figure fino al limite della rappresentazione, tendendo così più verso la semplificazione che alla riduzione delle forme. Insieme all’ambiente fanno pensare a Milton Avery o a Henri Matisse, da lui molto amati, ma quelle figure così longilinee ricordano in particolare le sculture di Alberto Giacometti e non è certo un caso se i due curatori hanno fatto incontrare i due artisti nell’ultima sala al secondo piano.  

Di più su questi argomenti: