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Terrazzo

Il sogno di Brasilia, la città messa a ferro e fuoco che ha ispirato generazioni di architetti

michele masneri

È il caso più eclatante di una città nata per diventare capitale e insieme “città ideale” per le magnifiche sorti di un popolo

Mentre si contano i danni degli assalti a Brasilia, che ci ricordano tanto quelli di due anni fa a Washington, si può dire senza essere smentiti che questa volta, se il patema è lo stesso, il valore architettonico è diverso. Brasilia è stata infatti il sogno di una generazione, forse il caso più eclatante di una città nata per diventare capitale e insieme “città ideale” per le magnifiche sorti di un popolo. Fu costruita da Oskar Niemeyer e dal suo maestro  Lucio Costa, in soli quattro anni. E a dieci dalla morte (Niemeyer è scomparso il 5 dicembre 2012) bisogna ricordarlo come il primo architetto che scelga una via nazionale al modernismo. Se per i primi lavori, come il ministero della Sanità di Rio, lui e il maestro Lucio Costa chiedono una consulenza al più grande di tutti, Le Corbusier, poi integreranno certi elementi corbuseriani come il “brise soleil” o “cobogò”, insomma il graticcio frangisole, nel sontuoso modernismo brasiliano. 

 

Niemeyer prende e adatta i cinque principi cardine del freddo modernismo del vate svizzero (pilotis; tetto-giardino; finestre orizzontali; pianta libera, facciata libera) e li rende tropical-sexy: i pilastri sono più alti e massicci come nell’Hospital Sud America di Rio; e ci infila pure dei rivestimenti in ceramica decorata e colorata, gli azulejos, dalla tradizione coloniale portoghese. Frulla il tutto con una spruzzata di curve ispirate alle “mie montagne del Brasile” che anticipano di cinquant’anni poi il signore più grandi curve che ci sia, Frank Gehry (ma anche altri curvisti come Calatrava e Hadid). 

 

Il più grande committente di Niemeyer è l’allora sindaco di Belo Horizonte, Juscelino Kubitschek de Oliveira, che diventa il suo protettore fin  quando viene eletto presidente: e lì gli affida appunto Brasilia, che deve rappresentare un’epoca nuova, di libertà e democrazia tropicale. E’ anche il primo a insediarsi nel  Palácio do Planalto, quello assaltato in questi giorni. Il palazzo, inaugurato nel 1960, è stato restaurato proprio da Lula negli anni del suo primo mandato con enormi lavori  (c’è da immaginarselo quindi doppiamente imbufalito per le distruzioni). Altri edifici assediati dai dementi bolsonaristi sono la Corte suprema federale (Supremo Tribunal Federal) con davanti la scultura dell’italobrasiliano Alfredo Ceschiatti rappresentante la Giustizia, e la Câmara dos Deputados, con la caratteristica ciotola sul tetto. Non lontano ci sono la Cattedrale e il palazzo Itamaraty del ministero degli Esteri, simile alla Mondadori di Segrate, con porticato e specchio d’acqua di fronte.  E a proposito di diplomatici c’è anche l’ambasciata italiana, opera di Pier Luigi Nervi (poco prima di dimettersi per un’ennesima scissione del Psi, nel 1969, Pietro Nenni, allora ministro degli Esteri, incaricò il sommo stilista del calcestruzzo di costruire la nostra rappresentanza che essendo a Brasilia non poteva certo essere ideata da un geometra del comune).

 

Perché la città brasiliana, fondata come Roma il 21 aprile (ma un po’ di anni più tardi),  è un parco a tema da sempre per patiti dell’architettura.  Un altro grande fan è Rem Koolhaas, che ha addirittura ammesso che l’opera di Niemeyer è ciò che l’ha convinto a diventare architetto.   “Nel 1956 mi capitò di imbattermi in un articolo sulla rivista Time sulla nuova Brasilia. Un sogno di una città che presto sarebbe diventata realtà”, ha rivelato qualche tempo fa. “Fu lì che poi il mio sé di 11 anni prese una decisione: dovevo diventare un architetto. E non un qualsiasi architetto, un architetto brasiliano”. Nel frattempo farà altro. "Sono diventato giornalista e co-autore di sceneggiature cinematografiche”.  Uno dei pochi architetti a saper scrivere (anche se gli architetti tendono a scrivere tutti, con grande danno), Koolhaas nei suoi “Testi sulla (non più) città” (Quodlibet, 2021) ha ricordato come la pianta di Brasilia ha "la forma di un aeroplano con le ali rivolte in avanti. La fusoliera dell’aereo da due file di cinque edifici identici a dieci piani: uno per ciascun ministero. Le ali sono costituite da oltre 130 cosiddetti “superblocchi” o  (superquadras): appezzamenti di terra rettangolari con una media di nove condomini disposti ciascuno ortogonalmente, tutti diversi ma omogenei – una città di 1.500 condomini”. Il masterplan-aeroplano fu  progettato da Lucio Costa in 15 giorni, con carta e inchiostro. La fusoliera è stata interamente arredata – in soli quattro anni, appunto – con edifici di Niemeyer. 

 

“Brasilia fu concepita da Juscelino Kubitschek, presidente del Brasile dal 1956 al 1960, come una campagna militare” scrive ancora Koolhaas. “"La fretta e l’urgenza si possono ancora toccare con mano. Non ci sono frivolezze, nulla di superfluo, nessun dettaglio che non sia necessario. Niemeyer non aveva altra scelta e questo forse spiega la ragione per cui è considerato un genio ancora oggi”. “Sartre andò a visitarla, così pure la regina Elisabetta, Fidel Castro, Che Guevara e William Sandberg. André Malraux la vide come un segno di speranza, il Papa l’ha benedetta e altrettanto fecero quasi tutti gli architetti moderni: Gropius, Le Corbusier, Prouvé, Mies van der Rohe, Nervi”. Con tocco da sceneggiatore, Koolhaas ricorda che però, nonostante il disegno da aereo, Niemeyer durante i lavori andava avanti e indietro da Rio de Janeiro in Land Rover. Per la paura di volare.  

 
  

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