L'American Academy di Roma a Trastevere (Immagini prese da Facebook)

Gli artisti "displaced" si ritrovano a Trastevere

Michele Masneri

L’esposizione annuale che coinvolge i borsisti americani e italiani dell’American Academy a Roma

Sentirsi sperduti sulla villa più bella del Gianicolo: a chi non piacerebbe? Tra il fontanone e gli spari garibaldini, in coppa alla ex casa di “Suni” Agnelli. Ha aperto ieri “Displacement”, edizione 2019 di “Cinque Mostre”, l’esposizione annuale che coinvolge i borsisti americani e italiani dell’American Academy a Roma, il sublime istituto che domina Trastevere, finanziato dai meglio wasp transatlantici (anche gli Agnelli). Curata da Ilaria Gianni, la mostra riunisce i lavori di 25 tra artisti visivi, architetti, designers, scrittori, archeologi, storici dell’arte e conservatori, in una gamma di linguaggi che si relazionano ai vari significati del displacement, versione tecnica del “che ci faccio qui”, già immortalata nella Grande Bellezza coi coccoloni proprio da queste parti.

 

Ieri, oltre alla vernice sui diversi stadi del frastornamento, si è svolto poi il workshop “Some Assembly Required” ideato da Erin Besler (Rome Prize Fellow per l’architettura), e Ian Besler, co-fondatori del fondamentale studio di architettura e design Besler & Sons, riconosciuto internazionalmente per i suoi progetti legati al tema della partecipazione. Il progetto esplora la distinzione tra il concetto di “lavoro” e quello di “attività” tramite un’installazione collettiva e interattiva, proponendo al pubblico una serie di kit per costruire dei modellini di dettagli architettonici di Roma. E poi ieri è stata proiettata anche la serie di sette film che compongono “Homo Urbanus”, progetto di Ila Bêka e Louise Lemoine che conduce lo spettatore in un lungo e ipnotico girovagare per il mondo tra Seoul, Bogotà, Napoli, San Pietroburgo, Rabat, Tokyo e Kyoto, nella costruzione di una geografia sentimentale del paesaggio umano.

 

Infine, tutti a brindare al bar della American Academy, considerato da molti il più elegante della capitale: dove dietro la macchina del caffè e allo sguardo di chi la sa lunga del barman Gabri si possono ammirare i ritratti dei fellows che si sono succeduti nelle varie epoche (ma non si riesce mai a trovare quello di Philip Roth, che vi abitò per un bel pezzo). Nessuna speranza di rimanere a cena, a meno di non essere appunto artisti variamente displaced, in quella che un tempo era una normale mensa e oggi è il prestigioso “Rome Sustainable Food Project”, ristorante-workshop raffinatissimo che sfama a chilometri zero le migliori menti americane e italiane in transito, voluto dalla zarina del cavolo nero Alice Waters, e capitanato da Laura Offeddu.

Di più su questi argomenti: