Foto di Stefano Nicita

Caro e bellissimo cemento

Giuseppe De Filippi

Ode disincantata alla Roma delle palazzine anni 50

Stefano Nicita è forse l’unico che, potendo scegliere, tra la palazzina e il palatium sceglie di fotografare, studiare, catalogare, analizzare, la prima e non il secondo. “Bellissime le due palazzine di fronte al Circo Massimo”, ci racconta questo architetto quarentenne che pubblica belle foto su Twitter, incurante com’è delle glorie antiche. Spesso gira in bicicletta per Roma con l’obiettivo di rendere giustizia agli architetti e agli ingegneri dei vituperati palazzinari e, come in una pietosa opera di recupero delle origini, di dare anche una attribuzione certa dei disegni e dei progetti alle tante che definisce “palazzine in cerca d’autore”.

   

Perché a Roma, ci fa capire Nicita con le sue foto, si potrebbe organizzare un folle tour architettonico alternativo rispetto a monumenti, chiese e palazzi, per vedere, invece, solo palazzine. “Il loro momento d’oro sono stati gli anni cinquanta, ed eravamo vicinissimi, cronologicamente, al modello allora imperante, quello del villino, e pensate che stravolgimento è stato rispetto al decoro borghese e alla piccola prosopopea del villino, l’inserimento a Roma di motivi dell’architettura europea novecentesca, da Le Corbusier al costruttivismo russo, senza dimenticare espressionismo e neoplasticismo”.

         

E chi sono i protagonisti di questa stagione? “Lafuente, Ugo Luccichenti, Marchi, Moretti, il duo Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, Pascoletti, Pellegrin, Ridolfi, Ventura”. Con Lafuente che voleva andare a costruire a New York e invece corse a Roma perché c’era ancora più fermento e venne ricambiato. “Sì – dice Nicita – ho una mini-ricerca in corso che ho chiamato “Inseguendo Lafuente” anche se in realtà è lui che mi ha inseguito perché vedevo cose che mi piacevano e poi scoprivo che erano sue. Viene a Roma negli anni ‘50 da Madrid per fare architettura (provate a pensare a uno che lo faccia oggi…) e finisce a lavorare da Monaco-Luccichenti che erano pieni di progetti. Lavora anche autonomamente con Rebecchini e a un certo punto i rapporti con gli altri si guastano e si mette definitivamente in proprio. Le famose tribune di Tor di Valle sono sue”.

    

Anche altri artisti collaborarono? “L’ambiente culturale romano al tempo era molto vivace e sempre con quel sottofondo di ironia locale; c’era la famosa scuola romana tra realismo e astrattismo, in fondo come l’architettura delle palazzine in cui si mescolava l’avanguardia del costruttivismo con il regionalismo del rivestimento in pietra mista locale. Era frequente l’inserimento di opere d’arte nelle costruzioni, tipo sculture negli androni e disegni artistici di pavimentazioni o muri. Capogrossi, Consagra, Porpora, Severini…”.

   

E quindi, sarebbe già da imporre una forma di conservazione rigorosa e filologica? “L’architettura delle palazzine si sta lentamente sbriciolando come capita a molte opere moderne ed è certamente giunto il momento, dopo averne riconosciuto il valore architettonico, storico e culturale, di costruire un manuale operativo per il restauro del moderno sul quale forse siamo ancora un po’ impreparati”.

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