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In tv
Il 2025 sul piccolo schermo
Tra finali attesi e nuovi esperimenti. Ecco le migliori serie tv che ci hanno tenuto compagnia quest’anno
Long story short di Raphael Bob-Waksberg, voci originali di Ben Feldman, Abbi Jacobson (prima stagione di 19 episodi su Netflix)
Per chi ricorda il cavallo depresso, l’eroe della serie “BoJack Horseman”: ex star della tv viveva in una villa con piscina, intorno tanti amici di varie specie animali. Meditava di scrivere la sua autobiografia, e possedeva una speciale edizione del Monopoly a lui dedicata. Alla fine della sesta stagione, nel 2020, decide di farla finita, e nessuno davvero se l’aspettava. I disegni erano di Lisa Hanawalt, il personaggio era stato inventato da Raphael Bob-Waksberg, brillante scrittore satirico – Einaudi ha pubblicato nel 2019 il suo “Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata”. In “Long Story Short” affronta uno dei cardini della jewishness: la famiglia con madre impicciona, tre figli variamente tormentati, padre che guida la macchina mentre i passeggeri si accapigliano. Sono Avi, Shira e Joshi, che nel primo episodio sta per fare il suo bar mitzwah; ma una canna fumata nell’armadio e le rivelazioni di un amico più sveglio gli tolgono ogni fede in Dio. Gli episodi vanno avanti e indietro nel tempo, conosciamo la fidanzata di Yoshi che volenterosa vuole lavare i piatti, ma adopera la spugna sbagliata (i piatti per il latte e i piatti per la carne devono stare separati anche al lavaggio). La sorella Shira elenca tutti i traumi subiti per colpa del fratello, eppure vorrebbe da lui lo sperma per ingravidare la compagna lesbica. Il maestro di ballo per la coreografia delle bambine si finge francese, “devo pur campare”. Seconda stagione in arrivo, per chi prende il vizio.
The girlfriend di Robin Wright e Andrew Harkin, con Robin Wright, Olivia Cooke, Laurie Davidson (prima stagione di 6 episodi su Prime Video)
Eva contro Eva. Un classico, qui con l’aggravante che sono la madre del ricco giovanotto, e la fanciulla che sul giovanotto ha messo gli occhi, mentre lo accompagnava a visitare un lussuoso appartamento. In verità, l’appuntamento l’aveva preso una collega – appena promossa, perché dotata di ottime conoscenze – ma il ricco e fascinoso cliente arriva in anticipo (l’attore assai leggiadro è Laurie Davidson). Cherry, così si chiama la ragazza, non è certo il tipo da lasciarsi sfuggire un’occasione. Detto e fatto, si fa invitare a una vacanza in Spagna con la famiglia intera. Come in “The Affair” – se non l’avete mai visto, le prime due stagioni meritano; poi è vittima del successo: un’idea non si può stiracchiare a volontà – gli episodi mostrano i due punti di vista. Robin Wright, che del giovanotto è la madre Laura, e la fidanzata Cherry, l’attrice è Olivia Cooke, già Rebecca Sharp in un adattamento televisivo britannico. Laura guarda storto la ragazza fin dal primo incontro, la sospetta di volerle portare via il figlio. Cherry cordialmente ricambia, intuisce che Laura, sofisticata proprietaria di gallerie d’arte, le metterà i bastoni tra le ruote. I segreti e le bugie sono tanti, fin dall’inizio. Con qualche passo falso: Cherry ha avuto i soldi per viaggiare in prima classe, ma ha preso il biglietto in economica e il resto lo ha speso in vestiti. La prima partita di tennis va male, la gita in barca peggio. Nei titoli di testa, una scarpa con tacco a spillo insanguinata.
Pluribus di Vince Gilligan, con Rhea Seehorn, Carlos-Manuel Vesga, Karolina Wydra (Apple tv +, finale di stagione il 24 dicembre)
Il momento della verità è stato fissato per la vigilia di Natale. Quando la serie più interessante del momento – un momento piuttosto lungo, non capita sempre, anche serie di buona fattura dopo un po’ diventano ripetitive – terminerà con l’episodio numero 9. Vince Gilligan, il maestro di “Breaking Bad” (62 episodi) e dello spin off “Better Call Saul” (63 episodi) ha già affrontato parecchie questioni esistenziali e filosofiche. Per esempio: se il dolore scomparisse dal mondo, e l’umanità tutta fosse d’accordo su ogni cosa, vivremmo più felici? E chi coltiverebbe il cibo necessario a tante persone che si aggirano con un sorriso ebete stampato in viso? Chi ha progettato questo piano, che come tutti i piani per migliorare l’umanità e renderla felice per statuto non ottiene l’effetto desiderato? Si vuole dimostrare che abbiamo bisogno degli altri, e di altri molto differenti da noi? La scrittrice di successo Carol Sturka – più avanti leggerà pagine di una sua micidiali trama fantasy – scampa non si sa come all’influenza nefasta. La stessa sorte toccata a Manousos Oviedo, un altro dei tredici individui che ancora sono dotati di volontà propria. Dal Paraguay, per raggiungere Carol affronta il periglioso Darién Gap, tra la Colombia e Panama. Non può essere attraversato con l’automobile, a piedi bisogna evitare certe palme con spine velenose di 20 centimetri. Lo sventurato scivola su una roccia e se le ritrova nella carne. Cerca di cauterizzare le ferite con il ferro rovente, poi collassa. Superati i record di “Severance/Scissione”, “Pluribus” è il nuovo campione della piattaforma.
Stranger things di Matt e Ross Duffer, con Millie Bobby Brown, David Harbour, Shannon Purser (su Netflix)
Anni 80. Cittadina rurale di Hawkins. Esperimenti governativi condotti in gran segreto. Una bambina dai poteri soprannaturali chiamata Undici. Nelle successive 5 stagioni, che termineranno – pare senza ripensamenti, ma non si sa mai – il 1 gennaio 2026, i fratelli Duffer hanno convocato come fonti di ispirazione Steven Spielberg e Stephen King. Regista e scrittore prediletti – e l’amore è ricambiato – dai ragazzini che ancora non sono interessati alle ragazzine. E’ il trionfo degli anni 80, che scatena la nostalgia di chi c’era – come i Duffer Brothers – e di chi avrebbe tanto voluto esserci. Quando l’avventura era a portata di biciclette, non passava tutto dai cellulari. Gli anni della Amblin Entertainment, che aveva prodotto “E. T”, l’extraterrestre che voleva tornarsene a casa, o almeno telefonare alla sua mamma (o chi per lei), c’erano pure “Gremlins”, “Poltergeist”, “I Goonies”. Queste le atmosfere, con l’aggiunta di una buona dose di H. P. Lovecraft, sempre il più bravo di tutti a insinuare paure nella mente (con il mostro bavoso son capaci tutti). Son ragazzini ormai cresciuti, ma sempre coraggiosi e intraprendenti quando si tratta di aiutare gli amici, tra misteri, sparizioni e mostri orribili. Nel Sottosopra: un mondo parallelo al nostro, tutto collegato in un superorganismo – o una mente alveare, come sembra essere il “mondo nuovo” di “Pluribus”. A dieci anni, già i Duffer facevano i primi tentativi, d’estate con una cinepresa ricevuta in regalo. Lo racconta benissimo J. J. Abrams in “Super 8”.
Landman di Taylor Sheridan e Christian Wallace, con Billy Bob Thornton, Demi Moore, Andy Garcia (2 stagioni su Paramount +)
All’inizio era un podcast intitolato “Boomtown”. Genere, documentario: Christian Wallace raccontava il boom petrolifero nel Permian Basin, o Bacino Permiano, tra il Texas e il nuovo Messico. Vale a dire, l’impatto sull’economia, sul clima e sulla popolazione di una moderna corsa all’oro: sono storie di grandi affari, lavoro duro, cambiamenti sociali e rovesci di fortuna. Una terra da conquistare, un neo-western che ora è al centro di questa serie Paramount+, con Billy Bob Thornton protagonista. E’ l’uomo che gestisce le crisi per conto della compagnia petrolifera di Jon Hamm – sempre orfano, professionalmente parlando, di “Mad Men”: film ne ha girati tanti, ma nessuno all’altezza del pioniere della pubblicità che marciava a cocktail martini. Jon Hamm è sposato con Demi Moore, che gli ha dato due figli e ha un legame anche con Billy Bob Thornton, separato dalla moglie Angela. Qui potrebbe prendere il via un drammone alla Douglas Sirk, oppure una battaglia tra antichi proprietari terrieri e giovanotti intraprendenti che nell’unico loro pezzetto di terra trovano il petrolio, mentre comincia una nuova era. La seconda stagione è iniziata il 16 novembre scorso, l’uomo di garanzia si chiama Taylor Sheridan, sceneggiatore di “Yellowstone”, e per il cinema di “Sicario” diretto da Denis Villeneuve, e “Soldado” diretto da Stefano Sollima. L’ambientazione non è dietro l’angolo, ma anche Billy Bob Thornton deve affrontare i problemi della figlia teen ager. E vedersela poi con i minacciosi cartelli della droga.
The beast in me di Gabe Rotter, regia di Antonio Campos, con Claire Danes, Matthew Rhys, Brittany Snow (otto episodi su Netflix)
Per la serie: scrittrici che si mettono nei guai. Questa si chiama Agatha Wiggs detta Aggie (l’attrice è Claire Danes, molto sciupata e con la faccia tirata, rispetto a “Homeland – Caccia alla spia”, le prime due stagioni meritano, se non le avete viste). Qualche anno prima ha vissuto il terribile dolore di un figlio morto in un incidente, aveva otto anni – il colpevole, sfuggito per un cavillo, si aggira nei dintorni e lei lo vorrebbe in galera. L’altra madre del bambino non ha retto al dolore, la coppia si è sfasciata. E’ lì a tormentarsi nella sua bella casa tra fotografie e foglietti con appunti – sta scrivendo una biografia di Ruth Bader Ginsburg, avvocato e giurista, giudice della Corte suprema degli Stati Uniti dal 1993 al 2020, nominata da Bill Clinton (abbiamo fatto un ripasso grazie al film di Mimi Leder “On the Basis of Sex”, per gli spettatori italiani “Una giusta causa”). Arriva il nuovo vicino di casa, preceduto dai suoi cani da guardia che invadono abbaiando il giardino di Aggie. Appartengono al ricchissimo Nile Jarvis, erede del re mattone più lussuoso che c’è. Sufficientemente antipatico, almeno a prima vista, e guardato con sospetto, la sua prima moglie sei anni prima è scomparsa. Agatha Wiggs lascia perdere il libro a cui sta lavorando, per dedicarsi al celebre quanto scortese vicino. Comincia le indagini, a proprio rischio e pericolo. In un gioco del gatto con il topo, tra omicidio, tradimento, segreti di famiglia ben occultati.
Prima di noi regia di Daniele Luchetti e Valia Santella, con Linda Caridi, Maurizio Lastrico, Andrea Arcangeli (dal 4 gennaio su Rai 1 e Raiplay)
“Prima di noi” è il titolo di un grande romanzo italiano che occupa tutto il Novecento, dalla ritirata di Caporetto alla Milano dei giorni nostri. “Occupa” non è una svista: le 896 pagine scritte da Giorgio Fontana (l’editore è Sellerio) raccontano – come solo un romanziere può fare – date e momenti storici vissuti, e subìti, dalla gente comune. Dal 1917, quando un soldato imboscato incontra una ragazza in un casale di campagna, nel Friuli. Fino al 2012, quando una giovane donna va a visitare le tomba del bisnonno – ma il lettore, e ora lo spettatore, segue nei dettagli gli avvenimenti familiari fino alla fine degli anni 70. Di cognome il soldato disertore fa Sartori, un figlio morirà in Nord Africa, due metteranno su famiglia e assieme alle loro mogli e discendenti li seguiamo per tre generazioni. Un’opera coraggiosa, che attraversa due guerre mondiali, poi la ricostruzione, mentre ognuno dei figli (e poi delle nuore e delle figlie) insegue i suoi sogni. Chi vuol fare la rivoluzione, chi si accontenta di una cattedra a scuola, chi va a lavorare dietro la scrivania di una multinazionale. Chi è nato nei campi, certo non vuole tornare a quella vita. Lascia il sogno dell’agricoltura “biologica” a chi non sa quanto la terra è faticosa. I Sartori neanche cercano la felicità, si accontentano di un posto nel mondo che non costi troppa fatica o infelicità. Daniele Luchetti offre il ruolo principale a Linda Caridi: gli uomini si uccidono in guerra, tocca alle donne il più duro lavoro di conservare e ricucire, dopo la morte e il dolore, sempre lottando contro fame e povertà.
L’eternauta di Bruno Stagnaro, con Ricardo Darín, Carla Peterson, César Troncoso (su Netflix)
Una notte d’estate che sembra uguale alle altre, le luci di Buenos Aires brillano sullo sfondo, tre ragazze che sembra abbiano già bevuto un po’ troppo, a bordo di una barca a vela fanno un brindisi alle “cose meravigliose che riserverà il futuro”. Si abbracciano, e non si rendono conto che le luci della metropoli si stanno spegnendo. Neanche guardano dall’altra parte, dove il cielo ha uno strano colore verde. Siamo in una storia di fantascienza, tratta dalla graphic novel argentina di Héctor Germán Oesterheld (desaparecido nel 1977 assieme alle 4 figlie; questa serie di Bruno Stagnaro gli rende omaggio) e Francisco Sólano Lopez. Le ragazze si abbracciano, ora per il terrore, la barca inizia a rollare, una di loro scende a controllare: il GPS non funziona più e neppure i telefoni cellulari, prima una e poi un’altra amica crollano sul ponte. Sullo schermo, vediamo un fiocco di neve. Intanto la città è senza corrente elettrica, un gruppo di vecchi amici giunti per giocare a carte sentono il rumore di un’esplosione. Dalla finestra, vedono qualcosa che somiglia alla neve. Il fumetto argentino è ormai un classico, nel molto frequentato genere post apocalittico. A Buenos Aires, dicono le statistiche, è nevicato solo tre volte nella storia della città. I sopravvissuti ancora non sanno se si tratta di alieni o di bomba atomica o di un incidente chimico, ma decidono comunque di organizzare una resistenza. Li comanda Juan Salvo, veterano della guerra per le Malvinas (l’attore è il bravissimo Ricardo Darín) che durante la nevicata ha perso le tracce della figlia Clara. Con il suo amico d’infanzia Alfredo Favalli, che quella sera se ne stava tranquillo al tavolo da gioco. Escono all’aperto bardati con tutto quel che trovano in casa: vecchie maschere a gas, tute da subacqueo, guanti da lavoro.