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piattaforme che assorbono le funzioni storiche della tv
Gli Oscar su YouTube, Warner a Netflix: se questa non è una rivoluzione
Il mercato audiovisivo entra in una nuova fase: non più una sfida tra tv e streaming, ma una competizione più ampia per il controllo dell’attenzione, della distribuzione e della filiera del valore
La decisione dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences di spostare la cerimonia degli Oscar su YouTube a partire dal 2029 segna un passaggio simbolico, ma anche economico nella trasformazione dei mercati audiovisivi. Il loro approdo su una piattaforma digitale gratuita e globale certifica che il centro di gravità del consumo video si è ormai spostato in modo strutturale verso l’online e che la televisione lineare può non rappresentare più il canale privilegiato per i grandi eventi culturali.
Dal punto di vista economico, la scelta dell’Academy è una risposta razionale a un problema di domanda. Gli ascolti degli Oscar hanno conosciuto un declino di lungo periodo, coerente con la frammentazione delle audience e con il mutamento delle abitudini di consumo. YouTube offre una combinazione che le reti tradizionali non sono più in grado di garantire: una platea potenziale globale, una distribuzione senza vincoli di palinsesto e una capacità di intercettare pubblici giovani che hanno ormai abbandonato il broadcast. In più offre la possibilità di valorizzare i singoli clip spezzettando la cerimonia in una miriade di citazioni. In questo senso, il passaggio degli Oscar non è un’eccezione, ma il segno che le linee di sostituzione tra i diversi consumi audiovisivi sono diventati complessi e generalizzati.
Un problema analogo si sta ponendo da alcune settimane con l’offerta di acquisto per Warner Bros da parte di Netflix. L’avvertimento su una possibile eccessiva concentrazione da parte di Trump sembra avere ragioni prevalentemente politiche, con l’appetito per parcheggiare un canale ostile come Cnn nelle mani amiche della Paramount di Ellison. Ma certo il problema di quale sia il mercato di riferimento sta emergendo con prepotenza.
Il dibattito regolatorio si concentra formalmente sui rischi di concentrazione nel mercato dello streaming a pagamento, ma l’evoluzione del consumo suggerisce una lettura più ampia. Se il mercato rilevante è quello del tempo di visione complessivo, allora Netflix non compete soltanto con Disney+, Paramount o Amazon, ma anche con YouTube, TikTok e con le piattaforme gratuite sostenute dalla pubblicità.
Restringendo la visuale al mercato dello streaming Netflix controlla nel 2025 il 28 per cento del mercato statunitense e con l’aggiunta di Hbo di Warner salirebbe al 39 per cento. Ma già considerando tutto il mercato televisivo, incluso il cavo e le reti broadcast, la quota dei minuti visti di Netflix secondo Nielsen sarebbe dell’8 per cento, analoga a quella di Paramount e un terzo inferiore a quella di YouTube che si sta affermando come il principale canale per la distribuzione di video come si è accorta l’Academy per gli Oscar.
Per alcuni versi è in corso una qualche forma di convergenza. Le piattaforme di streaming, pur mantenendo un blocco di film e telefilm, aggiungono contenuti live, programmi sportivi e pubblicità. Per contro tutte le reti televisive trasformano le loro catchup tv in mini piattaforme dove sfruttano i diritti non utilizzati di film e telefilm. Le televisioni a pagamento aggiungono al tradizionale bouquet di canali mini servizi di streaming. E naturalmente tutte le major cinematografiche vogliono la loro piattaforma, seguendo l’esempio di Disney, che a sua volta inseguiva il modello di Netflix, testimoniando come le sale abbiano smesso da tempo di essere il canale distributivo chiave anche per gli stessi produttori cinematografici.
I confini diventano più indefiniti ed è facile cadere nelle esagerazioni come quando Red Hasting, fondatore di Netflix parla di mercato generale dell’attenzione, con il sonno come concorrente della sua piattaforma. Allo stesso modo per il momento i social media e i videogiochi sembrano competere in un mercato diverso, sebbene naturalmente possano esercitare una qualche pressione.
Proprio la complessità delle interazioni ha spinto finora le autorità antitrust di tutto il mondo a considerare i mercati in modo stretto e relativamente tradizionale. Quasi sempre televisione broadcast, televisione a pagamento, piattaforme di streaming e social media vengono considerati mercati separati. Questo anche perché questi tagli netti semplificano le analisi e consentono di trascurare le sostituzioni deboli e i diversi sistemi di remunerazione. Anche questa indagine antitrust inizierà così, con una definizione stretta del mercato, ma le dinamiche in corso potrebbero obbligare a un approccio più aperto.
Nel caso di Warner, il valore strategico non risiede soltanto nella library o nei marchi storici, ma nella possibilità di integrare contenuti professionali all’interno di piattaforme capaci di competere nel nuovo mercato dell’attenzione. Come osservato da diverse analisi, la vera “guerra dello streaming” è in realtà una guerra più ampia, in cui Hollywood si confronta con operatori tecnologici che controllano l’accesso agli utenti, i dati e le infrastrutture di distribuzione globale.
In questo scenario, il passaggio degli Oscar a YouTube e la possibile acquisizione di Warner da parte di Netflix non sono eventi isolati, ma segnali convergenti di una trasformazione strutturale. La sostituzione nei mercati televisivi non avviene più soltanto tra vecchi e nuovi canali, ma tra diversi modi di organizzare la filiera del valore audiovisivo. Le piattaforme che riusciranno a combinare contenuti, distribuzione e modelli economici flessibili saranno quelle in grado di assorbire progressivamente le funzioni storiche della televisione.
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