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nuovi dati

La televisione e le piattaforme streaming si somigliano sempre di più

Marco Gambaro

Gli editori televisivi sono chiamati a fare anche gli streamer e a sperimentare nuove modalità di distribuzione, mentre le piattaforme on demand finiscono per riprendere alcune ricette tipiche del broadcasting

La televisione è ormai diventata un arcipelago di soggetti, prodotti ed esperienze diverse che convivono e si contaminano. I canali televisivi tradizionali oltre a costruire i loro palinsesti, organizzano lo streaming sulle loro piattaforme, distribuiscono spezzoni sui social e cambiano lo stesso modo di concepire i programmi. Le piattaforme di streaming aggiungono e inseriscono la pubblicità, cominciano a riprendere eventi sportivi e a produrre programmi unscripted come i reality. Questo fenomeno di convergenza avviene anche nei consumi dove nelle 22 milioni di tv connesse, che ricevono il segnale attraverso la rete dati, convivono i canali tradizionali, le piattaforme di streaming e le stesse piattaforme social, e dove è possibile misurare con granularità i consumi individuali e volendo anche indirizzarli. Le piattaforme, del resto, fanno ormai parte del panorama televisivo, con circa il 46 per cento delle famiglie che hanno accesso ad almeno un operatore OTT e circa il 18 per cento dell’ascolto della televisione domestica che non è generato da canali televisivi tradizionali e che comprende streaming, videogiochi e altri usi del televisore per un totale di circa 45 minuti giornalieri.

Sono alcuni dei dati raccontati ieri mattina nel convegno di presentazione dell’annuario della tv 2025, realizzato dal Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi (CeRTA) dell’Università Cattolica di Milano, in collaborazione con Auditel, Comscore, Upa e Apa, intitolato significativamente “Streamcasting”. In quest’epoca gli editori televisivi sono chiamati a fare anche gli streamer e a sperimentare nuove modalità di distribuzione, mentre le piattaforme on demand finiscono per riprendere alcune ricette tipiche del broadcasting.

Tra canali del digitale terrestre e ampiezza dei cataloghi delle piattaforme, il telespettatore si ritrova a disposizione molta varietà tra cui scegliere, e la concorrenza a costi fissi endogeni spinge verso l’alto i costi di produzione per poter emergere rispetto agli altri. I prodotti di punta italiani tra le serie costano ormai tra i 3 e gli 8 milioni di euro a puntata e, tra le prime 20 produzioni della stagione 2024-2025, ben 12 sono realizzate da piattaforme di streaming. Per le televisione generaliste si tratta di continuare ad assemblare grandi quantità di ascoltatori assieme, che è così importante per il mercato pubblicitario. Per le piattaforme invece, le produzioni costose si giustificano con la speranza che diventino contenuti validi sul mercato internazionale – cosa che in parte succede (vedi il recente “Il mostro” di Sergio Sollima, che è stata per un periodo la serie più vista a livello globale su Netflix), ma, generalmente, meno che per altri paesi che hanno una capacità di esportazione più elevata, sia nelle sale che nelle piattaforme. Tra il 2018 e il 2024 si è registrata una crescita della produzione italiana che è passata complessivamente da 1,2 a 2,1 miliardi di euro, con i prodotti televisivi fiction che sono quasi raddoppiati. Come ha osservato Emilio Pucci si tratta di una crescita originata essenzialmente dal tax credit e dalla domanda crescente delle piattaforme, a sua volta influenzata dai loro pesanti obblighi di investimento. Poiché l’offerta di talenti non è così elastica, buona parte di questo incremento si è tradotto in un aumento del prezzo dei fattori produttivi e non necessariamente in quantità e production value maggiori.

Nella distribuzione televisiva siamo in presenza di un confronto tra palinsesto e algoritmo. I dati granulari delle piattaforme consentono di analizzare il dettaglio dei comportamenti degli spettatori e di personalizzare consigli e proposte. Spesso gli stessi spezzoni di preview sono diversi tra uno spettatore e un altro. In questo modo rendono più efficace il matching, alzando il rendimento di quanto speso per i contenuti. D’altra parte il palinsesto continua, dopo molti decenni, a rimanere un efficace strumento per aggregare l’ascolto e, tramite il trascinamento, per aumentare il rendimento del singolo programma. L’audience dei film in un canale tv dipende sì dal successo nelle sale e dalle spese di lancio promozionale, ma soprattutto dall’ascolto del canale in cui viene trasmesso, tanto che lo stesso film può fare un ascolto maggiore in seconda replica se questa è programmata su una rete ammiraglia.

Con 3 ore e 15 minuti giornalieri, nel 2025 il consumo televisivo continua a calare, sia pure meno velocemente che negli altri paesi europei. L’industria televisiva italiana sembra resistere meglio di altre e ha capacità di espansione, come mostra l’acquisizione della tv tedesca ProSieben del 33 per cento del gruppo portoghese Impresa da parte di Mediaset.

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