parabola strepitosa

Nella fantastica versione Netflix di Berlusconi giovane c'è tutto il mistero gaudioso dell'eccesso

Giuliano Ferrara

Il documentario dedicato al Cav. è un racconto con la voglia di capire, che riduce le obiezioni a malumori di portineria: à l’homme fatal la patrie reconnaissant

La versione Netflix di Berlusconi giovane è fantastica. Tre ore di interviste e immagini, una scaletta cronologica perfetta, il pathos giusto senza smagliature né eccessi, voglia di raccontare che in questo caso è anche capire, ritmo, montaggio esemplare, come esemplare è la scelta dei temi e degli ambienti e delle luci. Non si può volere di più dalla vita, e il doc sta al numero uno della classifica. E’ il più recente successo di un homme fatal a nemmeno un anno dalla sua morte, opera finita di montare prima e dunque trattata al presente, è la parabola strepitosa di un moderno principe dagli inizi alla conquista del potere politico, la storia breve e carismatica di un grande e antico paese europeo trasformato alla radice e di una volontà colma di fervore, di immaginazione, di ambizione ferrigna, di amicizia popolare e spirito di gruppo o di squadra, di malizia.

Al posto della mafia, dell’evasione fiscale e del donnaiolo impenitente, varianti nulle o minori di una vicenda personale tumultuosa, instabile ma luminosa e sincera, c’è il mistero gaudioso dell’eccesso che è successo, successo grandioso, sorpresa, inarrivabile modello per grandi e piccini, anche con gli errori trascurabili come la Standa e La Cinq. Amici e testimoni oculari, in compagnia di un avversario che le telecamere sfruttano e spengono senza difficoltà (Pino Corrias), sono di prima scelta e di una sconfinata simpatia: Confalonieri, Momigliano, Rivolta, Minoli, Fatma Ruffini, Galliani, Freccero ma sopra tutto Dell’Utri, di una irresistibile spontaneità. Tutti rigurgitanti della cosa che manca di più nel discorso pubblico e nel pettegolezzo privato: l’ammirazione. Invecchiati, come d’obbligo, risentono della giovinezza dell’amico, del compagno e del benefattore di cui parlano, della sua vitalità allegra, del suo sorriso a sessantadue denti, del suo fascino comunicativo immediato e irrecusabile, della sua generosità d’animo e della sua capacità di illudere e ingannare i capitalisti pigri che lo hanno escluso dal gran giro e vorrebbero trattarlo come un salumiere meneghino.

Parlano di tutto il cliché: il costruttore milanese, il canterino, il venditore, il businessman, il manager cortese e galante con il personale, l’editore onnivoro che brucia la legge in nome della libertà d’impresa, dell’intrattenimento e del consumo, del mercato e del monopolio nuovista in sapiente condivisione con la grande pletorica Rai, il presidente e mago del calcio che vince tutto e che diventa infine presidente del governo quando vogliono portargli via azienda e quattrini, con una campagna napoleonica di due mesi, preparata in un anno e nemmeno mentre infuria la guerra civile giudiziaria con i suoi metodi avvilenti, infami, frustranti per ogni possibile vitalità del paese che l’idolo ama e conquista. Scompaiono come bofonchiamenti le domande alimentate dall’antiberlusconismo, specchio opaco e triste della cosa più scintillante che l’Italia ha prodotto dopo la Liberazione e il boom dei Cinquanta e Sessanta. Era un vero liberale? Era elegante? Era pacchiano? Era in conflitto di interessi? Era ricattabile? Sapeva fare politica? Ci voleva un Netflix per ridurre le obiezioni a malumori di portineria e edificare un piccolo pantheon televisivo: à l’homme fatal la patrie reconnaissante.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.