(foto Ansa)

Il colloquio

“Il successo di Fazio sul Nove può essere una valanga per la Rai”, dice Minoli

Luca Roberto

"La tv di stato deve chiedersi al più presto come si fa servizio pubblico in un'epoca dominata dalla crossmedialità. Già dai prossimi palinsesti i dirigenti di viale Mazzini dovranno segnare una svolta". Chiacchierata con lo storico conduttore di Mixer

Prendendo in prestito una metafora calcistica, potremmo dire che per la tv generalista è finito il precampionato. Adesso è arrivato il momento di scendere in campo”. Giovanni Minoli legge il risultato raccolto in termini di ascolti da Fabio Fazio sul Nove come “una piccola rivoluzione che potrebbe annunciare una valanga”. Domenica sera Che tempo che fa ha fatto quasi l’11 per cento di share. “E tutte e tre le reti generaliste sono finite sotto a Canale Otto e Nove”, analizza lo storico conduttore di Mixer e già direttore di Rai 2 e Rai 3. Che segnale è? “Drammatico o sfidante, dipende se il servizio pubblico sarà in grado di adottare delle contromisure”, dice al Foglio Minoli. “Può essere il segno di una crisi irreversibile delle reti generaliste. Ma può essere anche l’avvertimento giusto per ripensare finalmente l’offerta”.

E qui, nelle parole di una delle personalità che più hanno pensato e ripensato la televisione in Italia negli ultimi quarant’anni, c’è un distinguo significativo tra il destino che attende la Rai e quello che riguarderà Mediaset. “La televisione pubblica attraversa un gran caos nel ridisegno di tutto il sistema. Il nuovo organigramma sta dimostrando di non funzionare. Vengono distinti potere e responsabilità. Così si assiste a uno strapotere delle burocrazie, che vanno a detrimento della creatività. Per dire, che senso ha insistere sulla divisione per generi?”.

E’ anche vero che gran parte delle scelte compiute sono dovute a una gestione ereditata, “i vertici della Rai hanno trovato un’azienda bloccata da almeno tre anni. E il nuovo ad, Roberto Sergio, è più una figura di gestione che di produzione”, spiega ancora Minoli. “Però dai palinsensti di gennaio non si potrà più scherzare. Finora ci sono state scelte troppo episodiche. Hanno dimostrato di funzionare le fiction e programmi consolidati come Chi l’ha visto, i vari Lineaverde, Lineabianca e Lineablu. Ma i contenuti innovativi sono mancati all’appuntamento con il pubblico. Così come la scelta di sostituire Fazio la domenica sera con un programma d’inchiesta come Report, che ha un pubblico molto diverso, non è stata felice. Ecco, è vero, la macchina l’hanno ereditata. Ma ha dimostrato di non funzionare e adesso sta a loro cambiarla per farla funzionare”.

 

Per quel che riguarda il Biscione, invece, secondo Minoli “i vertici hanno deciso di puntare su una strategia di marketing, prendendo gente come Bianca Berlinguer. Il problema è che così hai trasferito esattamente i numeri che faceva su Rai 3 su Rete 4. Mentre per quanto riguarda Myrta Merlino a Pomeriggio Cinque, non credo ci sia stato un vero cambio di linea editoriale”. Fatto sta che, anche per le deludenti prestazioni di In Onda su La 7, – “costruito troppo come se fosse un programma giornaliero quando i settimanali si fanno in maniera completamente diversa”, dice ancora Minoli –, si pone un grande problema di prospettive per la tv generalista. Siamo destinati a vedere scompaginato lo scenario televisivo italiano? “Ma io faccio sempre l’esempio americano: lì le reti generaliste sono ancora saldamente oltre il 40 per cento di ascolti”, ragiona Minoli. “Il problema è ripensare a cosa dovrebbe essere il servizio pubblico nel 2023: serve ancora in un’epoca dominata dalla crossmedialità multipiattaforma? Se sì, perché? Cosa deve fare? Cosa deve raccontare? Come lo riorganizzi? Come lo finanzi? Perché non è vero che la Rai la pagano gli italiani, ne pagano solo un pezzo. Ecco, a queste domande bisogna rispondere il prima possibile. Ripeto: adesso si inizia a giocare sul serio”.

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