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Il nuovo “Grande Fratello” è più rilevante di tutti i talk messi insieme

Serena Magro

La restaurazione non risparmia populisti e antipopulisti. Il Gf 2023 cita e ricorda la prima edizione del programma, precedente al sovvertimento dei canoni della partecipazione alla vita pubblica

Nel 2023 si compie la restaurazione, le persone normali (parola da liberare dall’accezione vannacciana) non diventano più sindache di Roma o ministri o presidenti del Consiglio o loro portavoce con poteri estesi, ma vanno a competere al “Grande fratello”. Vanno, cioè, a rappresentare nel luogo deputato la loro normalità (anche il sostantivo va devannacciato) e a metterla un po’ simpaticamente in discussione, portandosi appresso quelle che ora si chiamano storie, cioè le loro esperienze, aspirazioni e frustrazioni e i tratti caratteriali, gli affetti e i desideri. La restaurazione è piena anche nello stile, secondo l’intento programmatico di superamento del cosiddetto trash, perché questo Gf 2023 cita e ricorda la prima edizione del programma, precedente ai moti populisti e al sovvertimento dei canoni della partecipazione alla vita pubblica.

 

E il ritorno allo statuto televisivo e politico non è smentito ma è reso più significativo dalla carriera di un Rocco Casalino, partito come normale ingegnere al primo Gf e poi diventato comunicatore e capo delle relazioni di un presidente del consiglio per caso. Casalino, a restaurazione avvenuta, resta come una specie di zombie politico, sia detto con rispetto, o come quelle specie animali sottrattesi per qualche strana circostanza alla selezione darwiniana e sopravvissute con caratteristiche morfologiche e comportamentali non più intonate al mondo circostante. Anche per queste ragioni non è certo lui l’oggetto di questa cronaca e di questa analisi. I nuovi ingressi nella casa del Gf appena inaugurata sono, invece, loro sì, al centro dell’attenzione. Perché nella foga restauratrice danno una sistemata sia al populismo sia alla versione più becera dell’antipopulismo. I giovani normali presenti non sono addivanati, secondo la lettura dell’antipopulismo (quando con cialtroneria pari a quella degli abolitori della povertà si attaccava l’idea del reddito di cittadinanza), ma si alzano presto per fare il macellaio, l’operaia, il bidello. Oppure si laureano in tempo in ingegneria o tentano legittimamente strade nello spettacolo, nell’arte, o si danno da fare per mandare avanti un ristorante con creatività ma resistendo alla bulimia.

 

I vip sono un residuo della fase di declino del programma. Quando, imperante il potere populista, il vip era ridicolizzato non solo dalla sigla definitoria ma anche dall’essere rinchiuso in quella casa, una miniaturizzazione della Versailles in cui segregare i nobili per togliere loro potere, a scontrarsi con altri colleghi per recuperare notorietà. Questa volta sono sì noti, ma nella loro vita hanno subìto qualche scivolone, che sia un caso da giustizia sportiva o che sia la riduzione improvvisa della visibilità, e anche loro, in definitiva, lavorano per una personale restaurazione. Si compete, certo, ma, almeno nel primo giorno, vige una certa cavalleresca armonia. E il Gf si rivela più al passo con i tempi e più politicamente rilevante di tutti i talk messi insieme. Nella casa non ci si strilla addosso e non si cerca di tacitare gli altri. Le liti arriveranno, certo, ma non sono più nello spirito del tempo. Il trash è tutto nei dibattiti rubricati come talk. Nella stessa sera del debutto del Gf 2023 si poteva vedere il tentativo di istigare allo scontro, alla parolaccia, come da vecchio modello autoriale delle peggiori isole dei peggiori grandi fratelli.

 

Con le maschere giornalistiche del meloniano o del leghista aizzate contro la commissione Ue in nome di un’ineffabile italianità, il tutto mentre Giorgia Meloni e Paolo Gentiloni lavoravano in realtà per ridurre gli attriti. Il Gf rappresentava il paese, il talk lo distorceva. Il primo era ottimista e fattivo, il secondo affondava nel nichilismo e nel trash. Vige, nella casa, una palpabile applicazione del criterio liberale di uguaglianza delle opportunità. E gli inquilini, secondo la felice definizione data quest’anno, sono ben guidati dall’egualitarismo cattivello di Alfonso Signorini, sempre pronto a dare riconoscendo la legittimità di un desiderio e a togliere fustigando l’eccesso di ambizione, e dall’egualitarismo signorile di Cesara Buonamici, capace di inquadrare debolezze e qualità concedendo sempre però a tutti un tratto di peerage (ah, un bidello? Delizioso) come usa nella migliore conversazione illuminata.

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