Foto di Matteo Rasero, via LaPresse  

nuove mode

Nella meta realtà televisiva gli italiani sono un popolo di abbracciatori seriali

Stefano Pistolini

Non è più il tempo dell'austera stretta di mano. Oltre al Grande fratello, dove l'affetto abbonda, anche Sanremo è stato contaminato, con l'unica lodevole eccezione a cura Chiara Ferragni

Ma quale austera stretta di mano…! È tutto un vieni qua, fatti stringere forte! Italia, terra di generosi abbracciatori. Prima mica era così, eravamo più riservati. Gli abbracci, quelli veri, erano riservati a occasioni straordinarie, un reincontro, un addio, un festeggiamento, perfino un cordoglio, era una cosa più privata, pudica. Invece da qualche tempo pare ci si abbracci come se non ci fosse un domani – ovviamente parliamo della meta realtà nella televisione pop d’ultimo (penultimo) modello, insomma i reality, i talent, i grandi eventi, tutto ciò che è governato dall’occhiuta direzione del famigerato pool di autori, flagellato dal problema di chiudere degnamente i segmenti delle loro torrenziali produzioni.

È in questa rabberciata gouache delle emozioni italiane, che poco alla volta, irresistibilmente, s’è fatto largo l’abbraccio. Prima non ci abbracciava mica così tanto davanti alle telecamere, se non a centro campo tornando dal gol, nel volta-pagina trionfale della passione sportiva. Ma l’abbraccio forte, ambosessi, possente, insistito, privo di implicazioni erotiche, quell’esibito bisogno di “sentirsi” non si vedeva mai, era roba da paisà, da carrambata, da melò, un’eccezionalità. Poi qualcuno nelle stanze di scrittura ha capito che il gesto aveva una sua cadenza funzionale, faceva minutaggio e si attagliava al nuovo trend: la cavalleresca competizione praticamente su tutto, ma sempre nel ritrovato orgoglio d’essere italiani prima e sentimentali subito dopo.

Basta un’occhiata alle ultime edizioni di format tv di gran consumo come “Masterchef”, “X-Factor”, “Amici” e, al di sopra di tutti, il regno supremo dell’abbraccio libero, “Il Grande Fratello”. Guardando le vecchie edizioni degli stessi programmi si vede che prima non era così: si faceva a gara tra ugole canterine e sgommarelli magici, si vinceva e si perdeva, ma mica ci si abbracciava a ogni piè sospinto, replicando quel perfetto riempitivo che suggerisce allo spettatore che ciò a cui sta assistendo è un evento della massima empatia possibile.

Invece ultimamente il “volemose bene”, il “siamo tutti bravissimi, vinca il migliore”, il “anche se mi elimini, mica ti odio: ti abbraccio”, hanno riscritto la narrazione di queste storie. Si attende il verdetto chiuso nella maledetta busta, si pende dalle labbra del Cannavacciuolo di turno che inviterà il tapino a levarsi il grembiule, e già ci si abbraccia preventivamente, per sostenersi e dare un tocco di memorabile al tutto. Poi sappiamo bene quel che succede una volta che il risultato viene annunciato, quando è facile che si sfiori la lacrimosa ammucchiata, tra chi va e chi resta.

Però è nel “Grande Fratello” che l’abbraccio-mania tocca vertici sconosciuti, sintonizzandosi con la prodigiosa rappresentazione del vuoto di cui vive il programma. Nel corso delle sue torrenziali puntate, in pratica ci si abbraccia ogni volta che ci si incrocia, tutti con tutti, tra clan, rivali, amici ritrovati, fidanzati cornificati – un abbraccio non si nega a nessuno, individuale, di gruppo, strizzato, a capannello, condito delle misteriose paroline mormorate all’orecchio, di carezze occhi-negli-occhi, vuoi mettere la solennità del momento?

È un ritmico, ricorrente armistizio e cinque minuti dopo, senza apparenti motivi scatenanti – chessò, una tipa è andata nella room speciale per incontrare il cugino che gli ha detto che sta facendo un percorso bellissimo – quella rientra nella casa e ripartono gli abbracci, tutti in processione per l’eucaristico congiungimento con la fortunata. Adesso anche Sanremo, liturgia maxima, ha ceduto allo stil nuovo: mai visti tanti abbracci come quest’anno, sotto la guida di maestri del gesto come Amadeus e Morandi.

Lodevole l’astensione di Chiara Ferragni dal rituale partecipativo, ma per il resto sono tutti sembrati smaniosi di dare una bella stropicciata al corpaccione del collega, che erano almeno venti minuti che non lo vedevano. Morale: l’abbraccio fa scena, ci fa sentire buoni, conferma che mica stiamo perdendo tempo a vedere quella rappresentazione nella quale tutti si commuovono – e io chi sono per restare con gli occhi asciutti? Del resto è di queste ore l’annuncio della scoperta di una fantascientifica pelle elettronica che presto ci permetterà di abbracciarci a distanza, una misteriosa materia morbida in grado di rilevare la tattilità bidirezionale, addirittura tra più utenti (riecco l’abbraccio di gruppo da finalisti del food show).

È una creazione del dipartimento d’ingegneria biomedica dell’Università di Hong Kong grazie al quale le braccia di Gianni Morandi non cingeranno più solo un pari grado, ma si spingeranno magicamente fino a noi, includendoci nella intimità da abbonamento. La frontiera con la celebrità si assottiglierà ancora di più, arriveremo a palpeggiarla, in attesa che il metaverso ci offra valide alternative valide alla squallida realtà quotidiana. L’idea che nel clou di stasera stringeremo forte un finalista della Casa sarà sufficiente a mandarci a letto sereni, in attesa che intervenga anche l’esperienza meta-olfattiva che, soprattutto in caso di abbraccio, avrà pur sempre il suo perché. 

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