Rai tolkieniana

Pino Insegno, “la voce di Aragorn” diventato “l'amico di Giorgia”

Andrea Minuz

La trattativa Insegno-centrodestra era il vero rebus di Viale Mazzini. Alla fine sono arrivati due programmi (2“L’eredità” e “Il Mercante in fiera” e lui è diventato “l’artista di regime”, la rappresentazione plastica della lottizzazione più sbruffona. Ma non sembra così dispiaciuto da questo tiro al bersaglio

Dalle nebbie della nuova Rai tolkieniana, prima o poi spuntava sempre il suo nome. L’ombra di Pino Insegno era ovunque, in un crescendo di ipotesi, cariche, ruoli: un Sanremo, una “Domenica In”, “The Voice Senior”, una striscia prima del Tg tipo Marco Damilano, almeno un Capodanno a Matera al posto di Amadeus. C’erano state anche delle sue misteriose visite a Palazzo Chigi. La trattativa Pino Insegno-centrodestra era il vero rebus di Viale Mazzini (“mo’ a questo tocca daje quarcosa”, si sarebbe lasciato sfuggire un dirigente Rai). Alla fine sono arrivati due programmi (“L’eredità” e “Il Mercante in fiera”, che aveva già condotto nel 2006). Ora Pino Insegno è “l’artista di regime”, l’amico di Giorgia, il raccomandato del governo. La rappresentazione plastica della lottizzazione più sbruffona, ma anche il simbolo sbandierato per ribadire la superiorità della cultura di sinistra: noi siamo quelli bravi, gli altri hanno Pino Insegno a “L’eredità”.

 

Lui lascia fare. Interviene poco. Sembra anzi non così dispiaciuto da questo tiro al bersaglio. Infondo non si è mai parlato così tanto di lui. Tanto quando non ce l’hanno con me perché sono di destra, dice, ce l’hanno con me perché sono della Lazio (la combo “destra-Lazio” funziona sempre, ma spiega e non spiega, anche Sandro Curzi, per dire, era un grande laziale). Il fatto è che non è facile capire come mai Pino Insegno piaccia così tanto alla destra (mentre è semplice immaginare perché sia così antipatico alla sinistra). Nulla delle tante cose che ha fatto in una lunghissima carriera come doppiatore, comico, showman, attore di teatro e di cinema ha mai avuto contenuti vagamente spendibili sul piano politico. E’ stato “Boro scatenato” nelle “Finte Bionde” dei Vanzina, frontman della “Premiata Ditta” a “Buona Domenica”, poi tantissimo teatro, musical al Sistina, commedie leggere non pretenziose, quella nebulosa che sta due dita sopra il Bagaglino e un po’ sotto il teatro di prosa, con titoli tipo, “Gallina vecchia fa buon Broadway”,  quindi la voce prestata a un po’ tutti, Will Smith, Jamiee Fox, Lenny Kravitz, Mel Gibson, Obelix, e Aragorn, il personaggio di Viggo Mortensen nella trilogia del “Signore degli anelli”.

 

Qui è scattata la scintilla con Giorgia, quel fatidico “verrà il giorno della sconfitta, ma non è questo il giorno!”, con cui Pino Insegno la introduce sul palco a Piazza del Popolo, in un comizio dell’anno scorso, folla in delirio. Già una decina d’anni fa, quando in Rai conduceva lo Zecchino D’Oro, Pino Insegno era considerato un’icona della destra romana. Era la Roma di Franco Fiorito, “er Batman” di Anagni troppo bigger-than-life per entrare in una Smart, che scorazzava col Cayenne a vetri fumé pagato coi soldi della regione nella capitale innevata, mentre Alemanno ordinava vagonate di motoslitte e spazzaneve. Renata Polverini aveva chiuso la campagna elettorale con spettacoli di Pino Insegno e Martufello. Poi, col tracollo della giunta, arrivò anche il ricambio della dirigenza Rai. Pino Insegno uscì di scena. I suoi programmi andavano bene. Ma nella Rai del Pd non c’era posto per lui. Nessuno però a destra s’indignò.

   

Nessuno provò a farne un martire della lottizzazione. Neanche un’intervista su Repubblica. Certo, né lo Zecchino d’Oro né “Reazione a Catena”, format passato nelle mani di Amadeus, che da lì iniziò la sua scalata in Rai, si prestavano alla barricata, all’apologia del servizio pubblico, come i programmi di Fazio, Annunziata, Gramellini, tutti format di taglio giornalistico e “alto profilo culturale”. Pino Insegno piace alla destra più che altro perché non è di sinistra (lui si definisce “democristiano, liberale, al massimo di centrodestra”, da noi diventa subito “fascista”, come gli disse Marrazzo, all’epoca presidente della regione Lazio, in tutta risposta a un suo progetto per una scuola di teatro in periferia: “Non parlo coi fascisti”).

 

Così, quando sale sul palco di Piazza del Popolo per portare in trionfo Giorgia, l’impressione è che non sia lì come testimonial della destra. Ma, proprio come quando a Sanremo doppiò Will Smith durante l’intervista di Carlo Conti, Pino Insegno è lì per fare la “voce di Aragorn”. E’ l’effetto-speciale che proietta Giorgia nella sua illusione tolkieniana. Con quel monologo un po’ coatto che sa di vittoria eroica e impresa epica e che solo lui può rendere verosimile. Pino Insegno sta insomma a Giorgia Meloni un po’ come Al Bano a Putin. Il momento gli è favorevole. E gli artisti, si sa, sono sensibili alle lusinghe.

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