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Accendere la tv per vedere la morte della creatività assoggettata al potere

Costantino della Gherardesca

Badiou diceva che il potere soffoca la creatività. Ormai neanche Rossopomodoro è libera di essere spontanea: anche la pizza è sottomessa all'ortodossia

Da quant’è che in televisione non vediamo qualcosa di insolito? Qual è l’ultimo programma che vi ha colto di sorpresa? Quanto può essere utile (per chi la tv la fa e per chi la tv la deve guardare) ripetere all’infinito le stesse cose? A queste domande, un qualsiasi produttore televisivo risponderebbe che se un format ha successo, allora quella stessa struttura, con ritocchi più o meno irrilevanti, può essere replicata fino all’esaurimento. E magari nel frattempo quel format vecchio e moribondo avrà dato luce a decine di altre sue variazioni sul tema… Insomma, in tempi difficili, la tv punta sul sicuro. E’ una reazione del tutto razionale, certo, ma siamo sicuri che la razionalità ci aiuti a essere creativi?

 

Gli antichi Greci sapevano che l’unico modo per creare qualcosa di nuovo è uscire dal seminato. Una persona che agisce razionalmente, invece, ha come scopo quello di raggiunge il massimo risultato con il minimo sforzo: non abbandonerà mai la strada maestra, perché c’è il rischio che l’efficienza venga sacrificata nel nome della creatività.
Come ha più volte spiegato Galimberti, per essere creativi è necessario che il nostro io, che è l’organo della razionalità, davanti alla realtà si faccia un attimo da parte e si lasci inondare dalla follia. Una follia che non ha nulla a che vedere con una notte di deboscia, ma con qualcosa che va ben oltre l’umano, dato che per Platone “la divina follia è assai più bella dell’umana saggezza”.

 

Sembra una frase sul muro di un liceo, scritta da uno che fa le cover di Ermal Meta, ma il fatto che l’abbia detta Platone (cioè il filosofo che ha inventato la ragione e il modo di parlare e di pensare di noi occidentali) dovrebbe farci riflettere su una cosa: la razionalità ci serve per gestire la vita di ogni giorno, ma non è uno strumento adatto quando si vuol creare qualcosa di nuovo.
Anche quello che oggi è considerato “classico” e “stabilito” è stato a lungo criticato perché “inedito” e “mai visto prima”. Parliamo di Scorsese come di un maestro venerato, un cineasta con uno stile riconoscibile, imitato, parodiato e – di conseguenza – entrato nell’immaginario collettivo, ma per molti anni Scorsese è stato considerato acido, frenetico, brutale… Scorsese lo sa bene che il momento creativo comincia quando si va fuori dalla ragione, quando ci si incammina senza sapere dove si andrà a parare. Ma oltre a quelli come lui, oggi chi può permettersi di fare quel che gli va? Neanche Rossopomodoro, quando produce i suoi contenuti per il web, è libera di essere creativa: anche la pizza è soffocata dall’ortodossia.

 

“L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”, diceva Freud e, a ottant’anni dalla sua morte, continuiamo a pretendere sicurezza e a fregarcene del fatto che abbiamo sempre meno felicità da barattare. E l’industria dell’intrattenimento questa fame di sicurezza la cavalca, la solletica, la amplifica, per vivere alla luce riflessa del potere. Una delle figure allegoriche più importanti nella storia dell’arte è Mariano Apicella: non c’è content creator il cui operato non possa essere riassunto nella sua persona.

 

Chi fa entertainment dovrebbe dare retta al filosofo e scrittore Alain Badiou, quando ci ricorda che tra potere e creatività non dovrebbero esserci legami, perché il potere è violento e può solo distruggere la creatività e la sua logica interna. Io purtroppo non sono nelle condizioni di rifiutare legami col potere, per il semplice fatto che al momento il potere non mi si fila, quindi sto qui, alla finestra, a vedere i miei colleghi che si accoltellano per una televendita.

 

Tempo fa Ilaria Dallatana, una che di tv ne capisce, mi fece notare una cosa molto importante: “Alle feste della televisione ci saranno sempre e soltanto i bicchieri di plastica”. Perché noi televisivi ci pugnaliamo alle spalle come in “Succession”, ma senza l’invidiabile esclusività di Mayfair o la gravitas di una multinazionale svizzera. Ci si avvelena e ci si ammazza a vicenda, sì, ma sotto i neon di una meeting room rivestita in compensato.

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