Urbano Cairo è simpatico, ma la sua tv fa spettacolo di ogni lenocinio putiniano
Le cose che si vedono su altre reti tutte accessibili, purtroppo in inglese, francese e tedesco, sono capitoli di giornalismo serio e popolare. In completa antitesi con gli sproloqui della televisione italiana
Urbano Cairo mi è simpatico. E’ gentile. Una volta volevamo battere cassa presso Cairo editore, disposti come disse un mio amico a recarci da lui a pranzo con la maglia di Quagliarella, non se ne fece niente ma mostrò di sapere tutto, che lusinga, di questo Fogliuzzo, della sua storia, dei suoi redattori e collaboratori, parlava come un tecnico di questa nicchia di vita politica letteratura e giornalismo, e la sua unica vanità personale era di raccontarsi come un sereno tagliatore di costi aziendali, un tranquillo promotore di autonomia delle testate in suo possesso. Il suo enigma personale non è avvolto nel mistero, ma nella cortesia non affettata e in ambizioni che non sembrano mai sproporzionate e per questo sono state coronate da successo e stima.
Purtroppo il nostro sistema editoriale non è in grado di stampare caratteri cirillici, perché servendomi di Google o Gogol, come diceva Berlusconi, avevo consacrato il suo nome in un Gorodskoy Kair, cirillico mancante, gogolismo assoluto, che era la pertinente traduzione dell’aggettivo “Urbano” e del nome della città egiziana di riferimento del cognome, “Cairo”. Volevo in pratica dirgli in un russo maccheronico quel che Ettore Petrolini diceva in romanesco maccheronico ai vitaioli con le anime gonfie e le idee di vetro: nun ce l’ho con te, ma con quello che te sta vicino e nun te butta de sotto. E quello che nun te butta de sotto, anzi ti mette in palchetto, è appunto lui, Gorodskoy Kair.
Non certo per il suo Corriere, che ha una linea di pace e di guerra perfetta nelle presenti circostanze, e che offre informazioni serie e commenti impeccabili ogni giorno. Anzi, va detto che il Corriere è parte rilevante di un sistema dell’informazione presentatosi dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina come un pezzo forte della stampa internazionale: pagine spesso mirabili, anche di Repubblica e della Stampa, che non tradiscono esitazioni, remore, demagogie, secondi fini nella spinta e nel sostegno al realismo della politica di opposizione generale, in occidente, all’avventurismo cingolato di Putin.
La sua televisione fa spettacolo invece di ogni esibizionismo, piccolo narcisismo, sguaiatezza, di ogni lenocinio putiniano. Vero che non è sola. C’è anche un po’ di Mediaset e un po’ di Rai nella partita truccata, ma certo è all’avanguardia, con buoni ascolti, credo, e taglio dei costi, appunto. Che ve lo dico a fare? E’ uno spettacolo ripugnante, anche se non lo guardo e mi limito a orecchiarne i cascami, in cui il peggio non è l’esibizione degli orsacchiotti, ma la compiacenza o complicità di chi finge importanza nel dialogo critico con i loro passi di danza, partecipa alla festa come spettatore o comprimario, e in un editore che non li butta di sotto. Non è così grave. Le conseguenze della guerra sono serie, pane ed energia, e le sentiremo di brutto, a quanto pare, se già non le sentiamo. Il Dibbbattito a sinistra è una belluria o una loscaggine senza importanza, per quanto obblighi i malcapitati ad assistervi (peggio per loro). Le cose, vita morte e miracoli della storia, vanno o non vanno del tutto “a prescindere”, come direbbe Totò che fu un superbo emulo di Petrolini. Eppoi va bene che ci sia il pluralismo delle idee, in questo caso solo italiano biada per ruminanti. Con la sola eccezione di Enrico Mentana che ha incanalato la sua maratona eterna in un dialogo interessante e fluviale con uno e un solo esperto, un botta e risposta senza straniamenti patetici in cui si chiacchiera in modo competente di quello che effettivamente accade, cercando di descrivere le cose come stanno effettivamente avvenendo, e non di intorbidare sentimenti e cosiddette idee.
Certo che Gorodskoy Kair potrebbe proporsi un piccolo salto di qualità, c’è materia e dolore in quantità per raccontare l’efferatezza di un’impresa tra l’imperiale e il coloniale, per dare voce a una resistenza spettacolare e a una diabolica perseveranza e armatissima. Le cose che si vedono su altre reti tutte accessibili, purtroppo in inglese e francese e tedesco, sono altrettanti capitoli di giornalismo serio e popolare, e se proprio si deve dare la parola agli storpi cantori della falsa verità si dà la parola a Maria Butina, la deputatessa invasata della Duma, o a quella portavoce deliziosa, e quasi sempre ubriaca, del Cremlino, non ai sostituti, agli Ersatz pallidi dell’intellighenzia patria. Bene, Kair a questo non ci è ancora arrivato, ma con il progredire dei problemi non è escluso che ci arrivi e si accorga che c’è qualcosa e qualcuno da tirare su e qualcosa o qualcuno da buttare di sotto.