Foto Ansa 

Checco Zalone a Sanremo individua il bersaglio, costruisce il personaggio, colpisce

Mariarosa Mancuso

Cancella con poche battute l’imbarazzante monologo di Lorena Cesarini e dopo “le sceme” attacca subito con un siparietto lgbt

Non è solo l’audacia di invocare “le sceme, almeno una” dal palco di Sanremo, dopo che da anni gli autori e il direttore artistico si industriano per trovare vallette intelligenti (dovrebbero prendere esempio da Fabio Fazio, la valletta resta valletta, passano gli anni e nessuno si indigna per il ruolo ancillare). E’ il raddoppio, che arriva un attimo dopo: “L’italiano rimane male”. Da gran professionista, Checco Zalone inizia alla maniera di Rudolf Nureyev, il ballerino russo che sbucava dalla quinta a un metro e mezzo d’altezza, sembrava volasse. E non si fermava mai, non risparmiava sulle acrobazie, non sbagliava mai una presa. Il nostro individua il bersaglio, costruisce il personaggio, colpisce. Tempi di reazione stimati – perché lo spettatore capisca quale sia il bersaglio – dal mezzo secondo di chi gode subito ai venti anni che servono ai giapponesi nella giungla per arrendersi al genio comico. Non a chi fa le imitazioni. A chi con un cappello bianco e un vibrato nella voce evoca Al Bano e tutti i suoi cugini. Come il virologo Oronzo Carrisi, colpito da improvviso benessere: per grazia ricevuta porta al collo “il primo tampone positivo a Cellino San Marco, sennò stavamo ancora sotto i podologi”. (Filologia impone di ricordare l’indimenticabile duetto “Maremoto a Porto Cervo”, nello spettacolo “Resto umile”, con Al Bano che invocava gorgheggiando un rapido ritorno alla normalità: “Ti prometto mia Sardegna / che ritornerà la fregna”). 

 

“Le sceme, almeno una” ha cancellato l’imbarazzante monologo di Lorena Cesarini, fortunata ragazza nata a Dakar e cresciuta a Roma senza sperimentare neanche una sfumatura di razzismo. Fino a quando le hanno proposto di affiancare Amadeus in una serata a Sanremo. Sui social è volato qualche insulto e noi abbiamo dovuto sorbirci una lettura da Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia. Perché Lorena Cesarini si informa da chi ne sa di più, da brava scolaretta, anche se “è laureata e lavora all’Archivio di stato” – testo scritto dagli autori con reverenza e pronunciato da Amadeus che sembrava Mike Bongiorno redivivo: “Pensate un po’, questa signorina ha studiato, prima di fare l’attrice. E ora l’addestratore di pulci”.

 

Con una simile concorrenza, per fare ridere bisogna essere bravi davvero, e dopo “le sceme” attaccare subito con un siparietto lgbt. “Tu non puoi capire, hai un Samsung”, si è sentito dire Amadeus, arruolato come narratore di una favola calabrese con un cenerentolo che porta il 48 di scarpe, e per qualche altro ritocco si è affidato a Fiorenza la fata di Cosenza. Dialetti, duetti, ritmo interrotto solo da Amadeus che ogni tanto ridacchiava e fingeva disperazione per certe parole non ammesse in Rai. Secondo siparietto, un giovanotto afflitto per la sua condizione di “poco ricco”, che esprime il suo dolore gareggiando a Sanremo (no, non è esattamente così, ma qualcuno dei brani e dei cantanti in gara corrispondeva perfettamente alla descrizione, con un #pocoamato in sostituzione del #pocoricco). Papà puttaniere, ma povero lui nei viali di periferia. E ora il riscatto: finalmente può praticare nel Bosco Verticale. 

 

Sistemati anche i rapper di buona famiglia, nome d’arte “Ragadi”, produttori due scagnozzi di nome Cisty e Felly. Si torna al melodico con “Pandemia ora che vai via”. Altro che le anatre del laghetto a Central Park, e dove andranno d’inverno. Dove andranno a finire i virologi, quando il loro (lungo) quarto d’ora di celebrità sarà finito?

 

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