Foto Matteo Rasero/LaPresse

Lo share di Sanremo è basso. Ma un motivo c'è

Simonetta Sciandivasci

Come sta il pubblico? Ha voglia di essere intrattenuto? Due risposte nei versi delle canzoni in gara, tra Fulminacci, Colapesce e Dimartino

Gli epigrafisti del Festival scrivono da giorni che lo share è stato basso, la presa è stata minima, la musica è finita, gli amici se ne vanno. Lo fanno con sottile dispiacere, danno la colpa alla direzione artistica, alla rivoluzione mancata, alla rottamazione inconclusa, alla commozione inevasa e al Covid, naturalmente. Gli americani che hanno guardato la cerimonia dei Golden Globe, quest’anno, sono stati meno di sette milioni: un calo del 62 per cento rispetto all’anno scorso, lo share più basso degli ultimi 25 anni. Il New York Times ha scritto che non hanno giocato a favore il cambio d’orario, il mancato red carpet, le consegne dei premi avvenute come se ci si scambiasse mine antiuomo, i disguidi tecnici, gli imprevisti, l’umore delle persone.

 

Come sta il pubblico? Ha voglia di essere intrattenuto? E come? E perché? Dopo i primi mesi della pandemia, gli artisti, soprattutto i comici, insistevano su quanto fosse importante non perdere brio e non pensare mai che uno spettacolo comico potesse risultare inopportuno. Adesso è diverso – come potrebbe non esserlo, dopo mesi di alternanza non proprio democratica tra luce in fondo al tunnel e buio nella mente, tra giallo rafforzato e profondo rosso. Adesso il problema non è urtare o offendere, o distrarsi per non sentir che dentro qualcosa muore. Amadeus aveva detto che avrebbe provato a far sorridere gli italiani, ma il Festival ha fatto altro: ha navigato a vista. Ecco perché, forse, l’ossatura autoriale è mancata e lo spettacolo è risultato spesso slegato, e tutto ha ingranato sempre dalla seconda ora in poi.

 

  

 

Il Festival, quest’anno, è andato a scuola, è stato un test e ha fatto un test. Non ha proposto distrazioni o catarsi, ma solamente tentativi. L’assenza del pubblico, in questo senso, è servita eccome: in teatro, quando ci sono le prove, il regista siede in platea e guarda lo spettacolo. E non è vero che il pubblico ha aspettato il Festival per sognare e spassarsela. Un verso della canzone di Colapesce e Dimartino spiega bene cosa vogliamo: “Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente, anzi leggerissima”. Un verso della canzone di Fulminacci spiega altrettanto bene come ci sentiamo: “Non c’è più niente di cui innamorarsi per sempre, per cui valga la pena restare, quindi stanotte abbracciami alle spalle”.

 

Amadeus ha lavorato affinché lo spettacolo non fosse un’induzione ma una proposta, perché la musica questo è, una proposta, un invito, non una cura. Fare uno spettacolo come Sanremo senza pubblico è possibile, certo. E si potrà lavorare affinché, oltre che possibile, sia anche bello. Si dovrà capire se la platea vuota ha un effetto condizionante o liberatorio. Si dovrà capire se riusciremo a non pretendere che la musica ci salvi la vita ma, semplicemente, la migliori. Una cosa che dovremmo forse sforzarci di notare è che per la prima volta il Festival non ci ha caricati di niente, men che meno ha cercato di catturarci a tutti i costi.

 

Ha acceso la sua luce bianca, ha acceso la sua luce nera.

 

 

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.