Alla seconda serata di Sanremo 2021 capisci cosa c'è che non va

Elodie ci insegna cos'è lo spettacolo, Achille Lauro fa Mina ma pare più Milva,Gigi d'Alessio arriva con la cumpa degli autoscontri e il pubblico è di palloncini

Manuel Peruzzo

Il problema è che non si può parlare male del Festival perché quando accade provi un grandissimo senso di colpa. Dobbiamo rimanere “distanti ma uniti”, perché fanno tutti fatica

Abbiamo dovuto aspettare oltre l’una di notte per il monologo di Elodie. Quello in cui ci ha detto che non importa sentirsi all'altezza delle cose: l'importante è farle, quello in cui per alcuni si è messa a nudo e per altri si è presentata con la solita retorica dal basso da rapper, un po’ vittimista e un po’ Ibrahimovic, ma ci ha convinto con l’amico che ha creduto in lei più di quanto lei fosse disposta a fare. Il monologo che si è concluso con una innocente bugia o falsa modestia: “Forse non sono all’altezza di questo palco, ma non è un mio problema”. Forse è quel palco che doveva fare il monologo su Elodie: era perfetta come conduttrice, come panterona, come cantante in quell’improvvisato Super Bowl, tra Bertè, tequila e guaranà. Lo spettacolo, fatto bene.

   

  

Ieri s’è capito che peggio del non avere il pubblico in sala c’è l’avere il pubblico in conferenza stampa che ti mette fretta. Era tutto un “non è che la scaletta può essere rimodulata?”, a un Amadeus dalla pazienza infinita. Nessun caso registrato di chi si sta divertendo che chiede a chi lo intrattiene di tagliar corto (tranne nel sesso), e quindi se prima dell’esordio la domanda ricorrente era “perché lo fate?” poi è diventata “se proprio dovete, finite presto”. Come le mogli.

      

Così, tutta la prima parte della serata, Ama e Fiore, l’hanno passata a dire che c’è un ritmo serrato, convinti fosse la parte che i giornalisti irrequieti avrebbero descritto sui giornali. Hanno anche detto “Ieri è stata la prima serata più commentata sui social della storia del Festival di Sanremo”, che è come quando presentano gli YouTuber a Orietta Berti dicendole “Questo qui ha milioni di visualizzazioni” e lei lo guarda come se le avessi portato un topo, cinguettando: “Io ho venduto milioni di dischi”. Comunque, un indiscutibile progresso c’è stato: hanno eliminato il carrello dei bolliti con cui servivano fiori contaminati, che ora vengono offerti come ristori, perché “mica possiamo risparmiare anche sui fiori“, dice Amadeus.

   

    

Il vero paragone impietoso è tra i soldi spesi da Amazon per lo spot con Verdone che si paracaduta a casa tua, e i soldi spesi dalla Rai per i palloncini con gli occhi sgranati seduti sulle poltroncine: duecento autori e nessuno che abbia pensato al cartonato di Alba Parietti (però c’era il palloncino a forma di cazzo).

 

   

Non hanno pensato neppure al remoto caso in cui un musicista possa avere un collaboratore positivo (figuriamoci se succede, in una pandemia: ciao Irama). Ci ha pensato Amadeus alle tre di notte, insonne: e ha mandato la prova generale di Irama senza treccine e senza abito elegante, “Vi assicuro che tanto è uguale”, ma allora non potevamo vederlo tutto registrato?

    

      

Tutti aspettavano Laura Pausini. Stranamente non era avvolta nel tricolore, ma parlava dell’Italia come se lei si trovasse in Yucatan. Meraviglioso il siparietto da vocalist euro disco con Fiorello beatboxer e Amadeus ballerino, più entusiasmante della canzone con la quale ha vinto il Golden Globe.

  

   

Anche se hanno dato di più, almeno in termini di tempo, Gigliola Cinquetti, Marcella Bella e Fausto Leali: praticamente una giuria di Ora o mai più. Achille Lauro ha fatto Mina ma pareva più Milva, una che era bravissima a cantare canzoni contadine e s’è messa in testa di fare Brecht.  

 

  

Alla seconda serata capisci cosa c’è che non va. Il problema è che non se ne può parlare male. Non ora. Non perché non se ne presentino le occasioni, ma perché quando accade provi un grandissimo senso di colpa. Tipo quando appare Gigi D’Alessio con la cumpa degli autoscontri e pensi subito a quei poveri cristi che si sono sintonizzati in quel momento, toccandosi il portafogli prima di girare canale (altri spettatori irrecuperabili), e lui prende il microfono e presenta i “guaglioni che vivono nelle periferie, non solo di Napoli ma del mondo”.

 

    

Che dire su Ignazio del Volo che in pieno lutto ha cantato Morricone in inglese di fronte al pubblico di palloncini, in quello stile terronetional che piace ai dittatori russi? O di Fiorello che in conferenza stampa s’è commosso per la figlia in didattica a distanza, come se fosse una malattia neurodegenerativa. Non possiamo sorridere del campione d’urina di Alex Schwazer, perché dentro ci sono i suoi anni persi nel tritatore giudiziario.

 

Dobbiamo rimanere “distanti ma uniti”, perché fanno tutti fatica, perché è tutto complicato, e non c’è spazio per l’ironia o per gli hater. Persino quando Amadeus ha chiesto a Ibra, collegato dal suo yacht o da qualche villa, se gli mancasse il Festival, lui non ha detto semplicemente: “No”, così per ridere, ma ha dovuto dire: “Voglio che facciamo un applauso per Astori”. Ma certo, non glielo neghiamo. E quindi sono condannato a citare Ermal Meta: “Ho un milione di cose da dirti/Ma non dico niente”.

  

  

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