La ricchezza di Ellen Pompeo, mica solo finanziaria

Simonetta Sciandivasci

La divina Grey di “Grey's Anatomy” sul femminismo da due soldi: ho chiesto quanto pensavo di meritare. Venti milioni di dollari

Va bene il Time's Up e pure il #Metoo, ma adesso parliamo di soldi. Perché anche (soprattutto?) coi soldi si fa l'empowerment. Nell'introduzione all'intervista che Ellen Pompeo ha rilasciato all'Hollywood Reporter, la scorsa settimana, viene specificato che gli attori parlano malvolentieri di quanto guadagnano, ma lei ha fatto un'eccezione “nella speranza di dare un esempio alle altre donne”.

 

  

La conoscete tutti: lei è la Meredith Grey di Grey's Anatomy, lo è dalla prima stagione (2005) e lo sarà - parola di Shonda Rhimes, sua autrice - fino a quando la serie continuerà, ovvero fino a quando Pompeo avrà voglia di recitarci. Alla fine dell'anno scorso, ha firmato un contratto che la renderà l'attrice televisiva più pagata al mondo (nel 2015 era arrivata quarta nella classifica di Forbes: aveva guadagnato 11 milioni di dollari, ora è arrivata a 20 milioni). Non è, però, esemplare per quanto guadagna, bensì per il fatto che - ed è questo uno dei punti dell'intervista - il tetto di cristallo lo ha sfasciato da sola. Per sé, naturalmente. Ed è qui l'altro punto: propedeutica alla battaglia collettiva per la parità di guadagno e trattamento di donne e uomini sul posto di lavoro è la consapevolezza di quanto si vale, cioè di quanto si merita e, quindi, di quanto si può chiedere per corrispondere pienamente quel valore.

 

Gli uomini hanno sempre chiesto, le donne no, tentennano. E lo sapevamo e lo sappiamo. Quello che bisogna cominciare a dire e raccontare è che si può, si deve chiedere. Se si chiede, si ottiene. Vale per le attrici hollywoodiane, per chi ha già un potere contrattuale, per chi non ha niente da perdere, direte. Forse. Però, sapete, Ellen Pompeo non è nata stellina: è cresciuta in una famiglia grande e incasinata, sua madre è morta di overdose quando lei aveva solo cinque anni, ha studiato pochino e quando le proposero il ruolo di Meredith aveva sul curriculum la stima e l'apprezzamento di registi come Sam Mendes e Steven Spielberg, tant'è che scalpitò perché voleva fare il cinema e non invecchiare in un medical drama. Il suo agente, però, le ricordò che aveva un affitto da pagare e lei accettò. Se poi ci è rimasta dodici anni, a lavorare con Shonda Rhimes, è stato perché ha saputo puntare al rialzo, chiedendo che il suo impegno venisse valorizzato. 

 

“Ho 48 anni e finalmente ho ottenuto il posto che volevo chiedendo quello che meritavo, ed è una cosa a cui arrivi con l'età”, dice Pompeo. Quando ha chiesto di avere cinquemila dollari in più di quanto veniva dato a Patrick Dempsey – che è stato Derek Shepherd, il Dottor Stranamore, il personaggio maschile più amato di Grey's Anatomy, che però ha abbandonato nel 2015 – visto che la protagonista assoluta della serie era lei, le hanno risposto: “Abbiamo Patrick, non abbiamo bisogno di te”. Non ha mollato perché non aveva scelta? No: “Mi sono detta che non potevo abbandonare la mia parte per colpa di un uomo, e che non avrei mai lasciato che un uomo mi sbattesse fuori da casa mia”. La lealtà al suo personaggio e l'idea che Grey's Anatomy fosse casa sua è stata premiata da Shonda Rhimes, che presto l'ha nominata co-produttrice della serie. A un certo punto le ha detto: “Shonda, se vuoi che io vada avanti, devi farmi sentirmi proprietaria di questo spettacolo”, e Shonda le ha risposto: “Bene, troviamo un modo per renderti felice: che cosa vuoi?”.

 

Non capita a tutti un capo come Shonda Rhimes. E non a tutti capita la scorza di Ellen Pompeo, una che “Harvey Weinstein non mi ha mai fatto niente, sono andata a trovarlo nella sua stanza e non mi viene difficile ammettere di essermi presentata ben truccata, perché in certe situazioni non pensi solo di dover dimostrare che sei una brava attrice, ma pure che un regista o un produttore devono innamorarsi di te […] comunque se ci avesse anche solo provato gli avrei sfasciato un vaso sulla sua fottuta testa”.

 

Nessun capo vuole perdere chi sa rendersi e mostrarsi indispensabile: i maschi ci si sono adattati, ora è la volta delle donne. Una a una e ognuna per sé, per cominciare. Al timore di apparire avide, fastidiose, presuntuose, tocca a loro sostituire la consapevolezza di aver contribuito in modo determinante a un risultato e pretenderne un'abbondante fetta: è una contrattazione che devono imparare a dominare da sole. Insieme, poi, baderanno a correggere le storture sistematiche.
"Faye Dunaway guida una fottuta Prius: non c'è niente di sbagliato in una Prius, ma lei è Faye Dunaway e non ha avuto alcun potere finanziario". E non si tratta tanto di volere il pane, le rose e la decappottabile: “Non credo che la soluzione sia che vadano più donne al potere, perché il potere corrompe. Dovrebbero, però, esserci più donne come noi al potere, e non solo sui set di Shonda Rhimes”. Donne, cioè, che sanno che la libertà è poter chiedere tutto, sapere chiedere tutto, come in quella vecchia canzone di Aretha Franklin che tutti quanti canticchiamo almeno una volta al mese.

 

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