Per Liu Cixin gli scrittori saranno un'AI. E c'è un motivo culturale
Per il più famoso scrittore cinese vivente l’intelligenza artificiale non è una minaccia ma un’evoluzione: se un giorno supererà l’uomo, anche nella scrittura, sarà solo un passaggio di fase. Da Calvino alla fantascienza cinese, l’autore non è più il centro, ma una funzione di un sistema più grande
Taipei. La minaccia di un’intelligenza artificiale che possa superare quella umana, per qualcuno, è una speranza. Liu Cixin, il più famoso scrittore cinese vivente e autore della famosa trilogia di fantascienza “Memoria del passato della Terra”, di cui fa parte anche il fortunato “Il problema dei tre corpi”, racconta di essere felice all’idea che l’intelligenza artificiale possa un giorno superare l’uomo in alcune delle sue attività cardine, inclusa la scrittura. Lo dice con una calma disarmante, quasi burocratica, in un’intervista rilasciata al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post: se l’AI ci oltrepasserà, non sarà una tragedia, ma un passaggio di testimone. Non parla da provocatore, ma da ingegnere cosmico della narrazione: l’autore del “Problema dei tre corpi” pensa in termini di civiltà, non di individui, e in quella scala l’umano è una fase, non un vertice. E in questo senso va interpretato l’eventuale passaggio, al momento ancora afferente al dominio della fantascienza, di cui non a caso Liu è maestro: l’autorialità come una lunghissima staffetta, nella quale gli umani sono pronti a passare – presto? – il testimone.
Nelle sue interviste più recenti Liu insiste su un punto che suona quasi eretico in occidente: l’AI non deve necessariamente “servire” l’uomo. Può sostituirlo, superarlo, persino rimpiazzarlo nella produzione culturale. Romanzi scritti da macchine, storie personalizzate per ogni lettore, narrazioni generate senza biografia né trauma fondativo. Quello che per alcuni è fantascienza distopica, per lui è una semplice proiezione di potenza computazionale. La domanda da cui muove Liu è sistemica: se l’intelligenza è un processo, perché dovrebbe restare legata a un supporto biologico?
Questa postura, che in Cina non scandalizza quanto in Europa, ha una genealogia culturale meno lontana di quanto sembri. In Cibernetica e fantasmi, Calvino immagina una letteratura in cui “scompaia dunque l’autore, questo enfant gâté dell’inconsapevolezza”. L’autore come centro morale, come garante di autenticità, come origine del senso, viene messo tra parentesi. Al suo posto, coerentemente alla visione di un autore tra i primi aderenti dell’Oulipo, l’opificio di letteratura potenziale, una macchina combinatoria, un sistema di regole, un’intelligenza che opera per variazioni, permutazioni, ricorsioni. Calvino non difende l’uomo contro la macchina: osserva con lucidità che la scrittura è sempre stata, almeno in parte, una tecnologia.
Tra Liu e Calvino corre una linea obliqua ma solida. Entrambi guardano all’intelligenza come a qualcosa che precede il soggetto e può sopravvivergli. Calvino lo fa partendo dalla semiotica e dalla letteratura strutturalista, Liu dalla cosmologia e dall’ingegneria. Ma il risultato è simile: l’idea che il valore non risieda nell’autore, bensì nel sistema che produce significato. Che sia un cervello, un algoritmo o una civiltà interstellare.
Non è un caso che Liu citi spesso l’occidente come prigioniero di una paura identitaria: la paura di perdere il primato, la firma, il nome in copertina. In questa paura riecheggia una concezione romantica dell’intelligenza, legata all’interiorità e al genio. Calvino, già negli anni Sessanta, aveva intuito che quella figura era storicamente fragile. L’AI contemporanea non fa che rendere esplicito ciò che era latente: l’intelligenza è da intendersi come una funzione distribuita, non come proprietà privata.
Forse è per questo che Liu non teme l’AI che scrive, pensa o decide meglio di noi. Nella sua prospettiva, l’importante non è chi parla, ma fino a dove arriva la voce. E se quella voce, un giorno, non avrà più un volto umano, non sarà un tradimento della nostra storia, ma una sua prosecuzione silenziosa.