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Nuovi tentativi

L'Arabia Saudita punta sulle IA e torna sulla scena della Silicon Valley

Pietro Minto

Ci sono voluti cinque anni perché il denaro saudita tornasse nella scena dopo il caso Khashoggi. La corsa all'oro dell'intelligenza artificiale per trovare un business alternativo a quello energetico

“Più ci penso e più l’Arabia Saudita mi sembra una startup”. A parlare è Adam Neumann, famigerato fondatore della disgraziata WeWork, ospite di una conferenza tecnologica tenutasi a Miami nel marzo del 2023, momento apicale del graduale ritorno dei sauditi nel mondo degli investimenti statunitensi, dopo il brutale omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi, avvenuto nel consolato saudita di Istanbul nel 2018. Anche Ben Horowitz, co-fondatore del fondo Andreessen Horowitz, trovò parole d’elogio per il regno: “L’Arabia Saudita ha un fondatore”, proprio come le startup. E continuava: “Non lo chiamate fondatore, lo chiamate ‘sua altezza reale’ ma sta creando una nuova cultura”. Un trionfo, insomma.

Il denaro saudita non è una novità per la Silicon Valley ma ci sono voluti circa cinque anni perché tornasse nella scena dopo il caso Khashoggi. Al centro dell’operazione, il Future Investment Initiative Institute, che si riunisce proprio a Miami e raduna schiere di ceo, fondatori, angel investor e altra fauna proveniente dalla Baia di San Francisco, ma anche da Washington e dalla costa est (Jared Kushner e Steve Mnuchin, il co-fondatore del sito di news Semafor, Justin Smith). E poi ci sono gli eventi organizzati nel paese stesso, come Leap, conferenza da 200 mila presenti che si tiene nel mezzo del deserto, a qualche chilometro dalla capitale Riad.

Qui, lo scorso aprile, Adam Selipsky, capo della potentissima divisione cloud di Amazon, ha annunciato un piano di investimenti da 5,3 miliardi di dollari in Arabia Saudita per due centri dell’innovazione da costruire in loco, e anche il ceo di TikTok Shou Chew ha lodato il “grande paese” promettendo nuovi investimenti. Secondo fonti ufficiali saudite Leap avrebbe generato in tutto circa 10 miliardi di investimenti. E poi c’è il rapporto tra il paese e IBM, realtà da “una amicizia per tutta la vita”, secondo un dirigente dell’azienda statunitense. Proprio IBM ha da poco presentato un modello linguistico per i paesi arabi in grado di comprendere diversi dialetti locali. Si chiama “ALLaM”, gioco di parole tra Allah e LLM (modello linguistico di grandi dimensioni, tipo GPT-4) e sarà disponibile sulla piattaforma IBM Watsonx.

Il governo saudita ha individuato nella corsa all’oro per le IA un’occasione per aumentare il proprio peso politico, oltre che per fare affari, nell’ormai ossessiva ricerca di un business alternativo a quello energetico. Il paese ha già lanciato un fondo tecnologico da 100 miliardi di dollari e sta discutendo col citato Andreessen Horowitz e altri fondi per un ulteriore round da quaranta miliardi destinato proprio alle aziende che si occupano di intelligenze artificiali.

Cifre che fanno impallidire le iniziative nazionali di altre potenze, tra cui molte europee, e sembrano applicare al settore delle intelligenze artificiali lo stesso approccio di The Line, la città a forma di linea lunga chilometri che doveva essere la chiave per il futuro del paese e che è stata recentemente ridimensionata di molto (dai 170 chilometri di lunghezza della presentazione a 2,4, se si faranno).
L’intento – ormai nemmeno troppo nascosto – è quello di usare l’impensabile ricchezza resa possibile dal petrolio per creare un hub tecnologico nella penisola arabica e proporre un’alternativa sia agli Stati Uniti che alla Cina. In particolare Washington teme che l’ascesa tecnologica della regione possa rivelarsi un assist per il governo cinese, tanto da aver appoggiato un accordo tra Microsoft e G42, azienda di IA con sede negli Emirati Arabi Uniti, “che era in parte inteso a diminuire l’influenza cinese” in questa area del mondo, secondo il New York Times. Quello delle IA è del resto un pallino che interessa il principe ereditario, Mohammed bin Salman, già da qualche anno, ben prima della febbre da ChatGPT, quando nel 2000 invitò “tutti i sognatori, gli innovatori e i pensatori a unirsi a noi, qui nel regno, per raggiungere le nostre ambizioni insieme”.

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