Wikimedia Commons

L'analisi

Quanto costa l'IA? Lo scontrino è salato tra diritti d'autore e programmatori

Pietro Minto

Altman vuole altri cento miliardi di dollari per OpenAI mentre progetta il computer-Dio AGI. Il Comitato europeo per la Protezione dei dati istituisce una task force dedicata

Le intelligenze artificiali di OpenAI sembrano funzionare come per magia. Apri il sito OpenAI, chiedi alla macchina di generare testi di qualsiasi tipo e quella esegue, velocemente e con precisione (anche se continua a inventare fatti). Dietro a questo, però, c’è una tecnologia enorme e sofisticatissima, dal costo sempre più alto. Nell’ultimo anno sono circolate molte stime sui costi di funzionamento delle IA dell’azienda, con la più diffusa che li fissa a circa tre milioni di dollari al giorno. Il sito The Information ha da poco pubblicato indiscrezioni che vanno ad aggiornare le perdite dell’azienda, che sono raddoppiate nel corso del 2022 raggiungendo quota 540 milioni di dollari. 

 

Nel 2023 le cose sono cambiate, sia perché l’interesse per servizi come ChatGPT non ha fatto che aumentare, sia perché OpenAI ha lanciato una versione a pagamento del suo chatbot (che costa venti dollari al mese), e ha chiuso un importante accordo con Microsoft, il quale  avrebbe investito dieci miliardi di dollari per integrare le magiche IA nei suoi sistemi ed equilibrare i conti dell’azienda. Ma non è bastato, a giudicare dal fatto che Sam Altman, il cofondatore di OpenAI, starebbe già pensando di chiedere nuovi fondi agli investitori, sfruttando il momento di enorme popolarità di cui l’azienda sta godendo. Secondo The Information, il capo di OpenAI vorrebbe cento miliardi di dollari nei prossimi anni, un round di investimenti da record che riscriverebbe le regole della Silicon Valley ma che viene già presentato come l’occasione di salire sul carro delle IA. Anzi, delle AGI.

 

L’acronimo “AGI” sta per Artificial General Intelligence, una forma particolare di IA per ora del tutto teorica che avrebbe capacità di apprendimento simili – se non superiori – a quelle umane, imparando quindi nuovi concetti in modo indipendente. L’idea della prossima venuta di un’AGI è la nuova ossessione del settore tecnologico, una prospettiva che Altman vuole trasformare in modello di business sulla base di una promessa alettante: 100 miliardi oggi in cambio di un computer-Dio in grado di svilupparsi e migliorarsi da solo. Quando? Nei prossimi anni, in un futuro indefinito ma immanente, che per alcuni potrebbe essere vicino. Secondo altri, potrebbe non arrivare mai.

 

Per quanto riguarda l’anno in corso, intanto, OpenAI prevede entrate per 200 milioni di dollari contro i 30 milioni dell’anno precedente. Una crescita notevole che non basta a coprire i costi che, anzi, sono destinati a crescere in linea con l’aumento dell’interesse e dell’utilizzo di questi strumenti. Dietro al grande dibattito su ChatGPT, infatti, c’è un prodotto piuttosto particolare, il cui sviluppo è complesso e oneroso, e il cui singolo utilizzo ha un costo fisso in crescita, poiché ogni richiesta (o query) presentata al chatbot non fa che aumentare il conto finale.

 

Mentre un pezzo di Valley attende con zelo messianico l’avvento dell’AGI, una serie di problemi legali potrebbe rallentare lo sviluppo di OpenAI, soprattutto a causa del fare libertino con cui l’azienda ha gestito lo sviluppo della sua tecnologia. Questo tipo di IA, infatti, ha bisogno di enormi moli di dati (testi, libri, articoli di giornale, blog, ecc.) da analizzare per “imparare” nuove capacità linguistiche. Per molto tempo l’azienda ha risolto la questione prendendo contenuti dal web senza chiedere alcun permesso, una pratica per cui potrebbe presto pagare un prezzo molto alto. 

 

La diatriba con il Garante per la Privacy italiano è stato solo il primo screzio: presto, secondo la rivista Technology Review, altri paesi europei potrebbero fare lo stesso, mentre il Comitato europeo per la Protezione dei dati sta lavorando a una task force dedicata proprio a ChatGPT. E poi ci sono i costi di personale specializzato, che OpenAI ha finora strappato anche a giganti quali Google, a caro prezzo. Tra le indiscrezioni di The Information troviamo anche la dipartita di Steve Dowling, ex capo delle PR di Apple che sarebbe pronto a lasciare l’azienda dopo appena due anni. 

 

Questa è insomma la cornice all’interno della quale Altman vorrebbe ottenere altri cento miliardi di dollari, mentre la “scena” tecnologia discute di AGI o di Skynet, la super intelligenza artificiale “ribelle” del film Terminator. Un dibattito fantascientifico che dimentica spesso i problemi reali e immediati legati alle IA, come le fake news o il fatto che la magia di ChatGPT continua a bruciare miliardi di dollari. 

Di più su questi argomenti: