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Il dibattito

Le intelligenze del futuro. Sviluppi e ostacoli della tecnologia

Eugenio Cau

L’entusiasmo che da diversi mesi ruota attorno a ChatGPT mostra che non si tratta di una curiosità passeggera. Ma la nuova IA deve essere messa alla prova della sua reale utilità

Da quando alla fine del 2022 è stato reso pubblico ChatGPT, nel mondo tecnologico è successo qualcosa che non avveniva da moltissimi anni. Per la prima volta, tutto il settore è stato preso da un entusiasmo sincero, dall’idea che forse – forse – questa è la volta buona. Come sapete, ChatGPT è un chatbot creato dall’azienda OpenAI: è un’intelligenza artificiale che riesce a conversare in forma scritta con le persone in maniera paurosamente precisa. E come sapete, da mesi si parla di ChatGPT e dei suoi cuginetti (come Midjourney e Dall-E, che sono intelligenze artificiali simili ma addestrate a produrre immagini anziché testi) con un entusiasmo eccezionale, che ha contagiato i media di tutto il mondo ed è diventato argomento di conversazione un po’ dappertutto. “Hai provato a chiedere a ChatGPT di scrivere un haiku sul cioccolato di Modica?”, “Hai provato a creare una foto di Biden e Trump che si baciano?”, “Hai provato a far fare a ChatGPT il tema d’italiano su Leopardi?”: sono ormai argomenti di conversazione relativamente comuni. Tralasciamo il pasticcio fatto di recente dal Garante per la Privacy italiano, che con una mossa maldestra – indipendentemente da quanto fosse giustificata – ha fatto in modo che OpenAI decidesse di rendere inaccessibile ChatGPT dall’Italia: è un intoppo probabilmente minore, anche se un po’ imbarazzante. Concentriamoci, piuttosto, sull’entusiasmo globale. Di per sé, l’entusiasmo per una nuova tecnologia non è niente di nuovo. Sappiamo ormai da tempo che la Silicon Valley è un gigantesco meccanismo imprenditoriale, finanziario e tecnologico lanciato a rotta di collo all’inseguimento della “next big thing”, la nuova grande idea rivoluzionaria. La “big thing” per antonomasia è l’iPhone, un’invenzione che ha cambiato il mondo, ha consentito l’apertura di infiniti nuovi mercati e ha permesso all’azienda che l’ha creato di accumulare ricchezze e poteri inenarrabili: tutta la Silicon Valley – e a dire il vero un po’ tutto il mondo – è alla ricerca di questa next big thing, di questo nuovo iPhone come se fosse il Santo Graal.

 

Questo inseguimento forsennato fa sì che nel settore della tecnologia si creino periodicamente e con una certa frequenza momenti di entusiasmo eccezionale, a cui seguono delusioni cocenti. Consideriamo soltanto gli ultimi anni: tutti pensavano che le criptovalute avrebbero fatto la rivoluzione, poi sono crollate. Tutti pensavano che il Web3 avrebbe fatto la rivoluzione, ma il Web3 è finito in soffitta prima ancora che riuscissimo ad avere un’idea concreta di che diamine si trattasse davvero. E il metaverso? Ve lo ricordate, meno di un anno fa, quando tutti parlavano del metaverso come della più grande innovazione dai tempi di Steve Jobs? Si è già sgonfiato come un palloncino. Molte di queste innovazioni teoricamente rivoluzionarie in realtà nascevano già morte. Per quanto riguarda il metaverso, per esempio, era abbastanza evidente fin da subito che, allo stato attuale della tecnologia, non avrebbe potuto trasformarsi in un prodotto utilizzabile e di massa, indipendentemente da quanto soldi Mark Zuckerberg fosse stato disposto a bruciarci sopra (e ne ha bruciati tanti, con ogni probabilità inutilmente). La descrizione del Web3 era così fumosa che i suoi stessi sostenitori non sapevano definire esattamente di che cosa si trattasse. Eppure, per ciascuna di queste innovazioni fragiline, sui social network e sui giornali c’era sempre qualche entusiasta pronto ad annunciare una grande rivoluzione. Spesso erano sempre le stesse persone: i “tech bro” evangelisti delle criptovalute erano poi gli stessi che magnificavano il Web3 e gli stessi che cercavano di convincerci che presto avremmo trascorso tutto il nostro tempo nel metaverso. Entusiasti di professione come questi sono necessari nel sistema della Silicon Valley: finché lo spirito sarà alto i soldi continueranno a girare, e non ci si perderà d’animo nella ricerca della next big thing, quella vera.

 

Lo stesso entusiasmo si è generato attorno a ChatGPT (che poi è soltanto una delle numerose versioni, l’unica disponibile gratuitamente al pubblico ma non la più avanzata, creata da OpenAI: ormai però ChatGPT è diventato un nome generico per tutte le intelligenze artificiali generative basate sul testo: accontentiamoci). Ma anziché sgonfiarsi come in tutti gli altri casi, l’entusiasmo per ChatGPT non ha fatto che crescere. A tal punto che un po’ tutti, non solo gli entusiasti di professione ma anche i critici più scettici, e perfino persone che a questo giochino dell’hype non hanno nessun interesse a partecipare, hanno cominciato a chiedersi: e se tutto questo entusiasmo fosse giustificato? E se quando si abbasserà il polverone che è stato lanciato in aria dall’arrivo di ChatGPT, alla fine arriveremo davvero a trovare la next big thing, la rivoluzione che cambierà il mondo? Proviamo a mettere assieme i molti dubbi e le poche certezze, usando le informazioni a nostra disposizione. Una delle ragioni più evidenti dell’entusiasmo è che ChatGPT è pubblico, visibile e utilizzabile. Questo è stato uno dei colpi di genio di OpenAI: mettere a disposizione del pubblico un’intelligenza artificiale e farla provare a tutti. Ci sono stati degli intoppi (per esempio quando il chatbot ha iniziato a essere molto molesto con alcuni giornalisti americani, poi la cosa è rientrata) ma il risultato è stato che mezzo mondo ha potuto provare ChatGPT. In questo modo, mezzo mondo ha potuto capire che ChatGPT funziona benissimo. Chi l’ha provato lo sa: ha una capacità quasi sovrannaturale di generare testi, dare risposte argute e assolutamente sensate a tutte le domande che gli vengono poste, fare conversazioni perfette. L’altra ragione per cui attorno a ChatGPT c’è un fermento che non si vedeva da tanti anni è che quando lo si usa è facile immaginare cosa gli si potrebbe far fare in futuro, è facile immaginare possibili casi d’uso, è facile immaginare la sua utilità e il suo posto nel mondo. Sembra una questione banale, ma tutte le grandi innovazioni devono far scattare una scintilla. Quando Steve Jobs mostrò al mondo il primo iPhone della storia, nel 2008, tutti capirono immediatamente che con quell’oggettino avrebbero potuto farci un sacco di cose utili. Non vale lo stesso per le criptovalute: a parte pochi casi settoriali e a volte un po’ ambigui, alle persone normali le criptovalute non servono. Discorso simile per il metaverso: se sta fallendo, è perché nessuno riesce a capire davvero a cosa potrebbe servire. Ma quando usi ChatGPT, il primo pensiero che ti balza alla mente è: “Incredibile!”. E il secondo pensiero che ti balza alla mente è: “Questo lo potrei usare per…”.

 

Ecco: è questa doppietta di pensieri che ti fa scattare la scintilla. Anche per questo, ChatGPT ha conquistato moltissime persone insospettabili. Il famoso esperto di politica internazionale Thomas Friedman, scrivendo sul New York Times, ha parlato di una nuova “èra prometeica”, in cui all’umanità sarà data per la seconda volta una tecnologia capace di cambiare il corso dell’intera civiltà, come fu appunto con il fuoco donato da Prometeo. (Friedman in realtà parlava di GPT-4, che è la nuova versione di ChatGPT, ma insomma, come ci siamo detti ChatGPT è ormai la parola generica che li comprende tutti, in attesa di definizioni migliori). In questo contesto, il lavoro dello scettico è estremamente complicato e spiacevole. Nessuno vuole fare il guastafeste. Soprattutto, è molto difficile fare il guastafeste, perché ChatGPT e le altre intelligenze artificiali generative funzionano così dannatamente bene che ogni giorno ci stupiscono con qualche novità impressionante. Ma vediamo.

 

Anzitutto, ChatGPT deve ancora essere messo alla prova della sua reale utilità. È vero che la prima scintilla del “potrei fargli fare questo e quest’altro” è immediata, ma quando si va ad approfondire per davvero, le cose utili e produttive che si potrebbero far fare a ChatGPT (quelle che fanno girare davvero l’economia) si riducono notevolmente. ChatGPT è già utilissimo in determinate circostanze: da quando è uscito, alcuni programmatori hanno quasi smesso di scrivere codice. Ma per moltissime altre persone, e forse per la maggior parte di loro, l’interazione con ChatGPT rischia di concludersi con: “Facciamogli scrivere un sonetto sulle uova alla coque!”, “Usiamolo per riassumere i Promessi Sposi!”. È ancora presto, ed è molto probabile che prima o poi saranno trovate delle applicazioni pratiche eccezionali, ma per ora questo resta un limite. L’altro limite di ChatGPT e delle intelligenze artificiali generative è che bisogna vedere cosa succede da qui in avanti. Uno dei problemi possibili è che ChatGPT, nel suo complesso, non sia niente di estremamente nuovo. Ora, quest’affermazione è una semplificazione marchiana, perché i programmatori di OpenAI hanno avuto alcune idee eccezionali nella creazione delle loro intelligenze artificiali generative e sono riusciti a trovare metodi per renderle capaci di andare molto oltre tutto quello che c’era prima: lo dimostra anche il fatto che altre aziende molto più grandi, ricche e avanzate, come Google, stanno facendo fatica a fare concorrenza a ChatGPT. Ma nella sua forma basilare, ChatGPT è il potenziamento più eccezionale che ci sia in circolazione di una cosa che c’è già da qualche anno, e che il team di OpenAI ha lucidato e perfezionato fino ad arrivare a un prodotto eccezionale. ChatGPT (con le sue versioni più nuove, come GPT-4) è il più sofisticato sistema di autocompletamento del mondo, capace di capire qual è la parola statisticamente più appropriata da mettere una dopo l’altra, fino a creare testi di senso compiuto. Questo sistema, che aveva portato fino a poco tempo fa a risultati buoni ma tutto sommato non strabilianti, è stato reso impeccabile da OpenAI, grazie all’utilizzo di alcune tecnologie innovative e di una quantità immane di dati da cui attingere.

 

Ma appunto: la tecnologia di base che sta dietro a ChatGPT è una tecnologia che circola già da qualche anno, e che il team di OpenAI è riuscito a portare alla sua massima espressione, a un livello di sofisticatezza e di perfezionamento altissimo, usando i migliori algoritmi di apprendimento e le quantità di dati più mastodontiche. Il grande merito di OpenAI, in questo senso, è stato dimostrare che la tecnologia dell’intelligenza artificiale generativa è in grado di andare ben oltre le aspettative di moltissimi analisti e scettici, che si dicevano convinti che avessimo raggiunto il limite massimo degli strumenti a nostra disposizione. Ora la domanda è: quanto più in là ci possiamo ancora spingere queste tecnologie? È possibile fare un nuovo e ulteriore salto di qualità perfezionando ancora gli algoritmi di apprendimento e aumentando le quantità di dati a cui le intelligenze artificiali possono attingere? Forse sì, ma non è detto. E le aspettative adesso sono altissime. L’ultimo problema di ChatGPT e dei suoi cugini è anche il più noto, ed è che tutto quello che dice ChatGPT è verosimile ma non è necessariamente vero. Essendo un sistema di autocompletamento che sceglie a livello statistico le parole più appropriate da mettere una dopo l’altra, ChatGPT non ha davvero idea di cosa stia dicendo. Non sa distinguere il vero dal falso, il giusto dallo sbagliato, e può argomentare a favore di una tesi e anche del suo completo opposto, in maniera convincente in entrambi i casi. ChatGPT è perfetto per creare disinformazione. È una questione di cui si discute da mesi, e per la quale a un certo punto troveremo contromisure. Al momento, tuttavia, non ce ne sono.

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