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Netflix aumenta di 2 milioni il numero di abbonati, ma i problemi rimangono

Andrea Trapani

Dopo la pubblicazione dei risultati del terzo trimestre, le azioni della piattaforma di streaming sono cresciute di oltre il 15 per cento. L’utile però è sceso e ci sono piccoli scricchiolii pericolosi per il business aziendale

Se volessimo cercare una sorta di equilibrio nei dati e nelle politiche commerciali di Netflix abbiamo sicuramente sbagliato azienda. Gli ultimi lanci sembrano cancellare politiche e gestioni che sembravano affermate. Guardiamo i dati: se nessuno si meraviglia della schizofrenia della Borsa dove le azioni di Netflix sono cresciute di oltre il 15 per cento dopo che il colosso dello streaming video online ha comunicato i risultati del terzo trimestre, i dubbi sul futuro della tv in streaming rimangono.

 

Sali e scendi, i numeri di Netflix del 2022

In pochi mesi si è passati dal primo, drammatico, calo della base clienti all’aver aggiunto oltre 2 milioni di abbonati nell’ultimo trimestre, invertendo la tendenza di questo 2022.

Intendiamoci, una buona parte di questo dato è il recupero dei numeri persi, soprattutto in mercati lontani dalla “casa madre”. In America e Canada la capacità di penetrazione sembra ormai vicina al proprio valore massimo, tanto che solo 100.000 dei nuovi clienti arrivano da questi due paesi, mentre Europa, America Latina e Asia ne regalano a centinaia di migliaia. Insomma, il vero obiettivo è trovare nuovi spazi da occupare. La geopolitica guida il mercato e quel mondo che si affaccia sull’Oceano Pacifico è la nuova terra dove guardare per crescere ancora.

  

Più abbonati, e ricavi, ma meno utili: alla ricerca del paradosso

Va tutto bene? No. Se da un lato gli aumenti dei canoni mensili hanno aiutato non poco nella crescita dei ricavi, l’utile del terzo trimestre è sceso a 1,398 miliardi di dollari, ovvero circa 50 milioni in meno dello scorso anno.

 

  

Esperti del settore, come Lelio Simi, si sono posti dubbi sulle prospettive di crescita: “Crescono gli abbonati ma a che prezzo per l'azienda? Il reddito operativo e il margine operativo sono nettamente in calo nelle previsioni del Q4 2022, anche facendo un confronto anno su anno…”. Non doveva essere la redditività il nuovo parametro? Facciamo nostra la domanda e guardiamo cosa sta succedendo.

 

Le difficoltà del settore sono note e quelle dello streaming sono l’evoluzione con cui ogni strumento affermatosi su internet ha dovuto confrontarsi. Dapprima un periodo d’oro, quasi monopolistico (dell’attenzione), a cui segue una spietata concorrenza e la necessità di interessare continuamente il pubblico (pagante) per mantenere una certa redditività. A volte si arriva al limite e nei mercati più maturi la saturazione sembra arrivare sempre prima. Anche per questo, probabilmente, Netflix ha deciso di lanciare in alcuni paesi, Italia compresa, il nuovo abbonamento base con pubblicità dal prossimo novembre.

  

Basterà la pubblicità per salvare il business?

Per i pionieri è quasi un’offesa, dato che – oltre agli spot – la tv in streaming trasmetterà a 720p, una qualità di visione d’altri tempi. La realtà racconta una situazione complessa. In Italia gli abbonati Netflix in Italia sono poco meno di 5 milioni e una recente indagine segnala come, per convertire gli spettatori in pubblico pagante, sia necessario considerare almeno due fattori: la condivisione delle password di accesso che il 65 per cento degli abbonati italiani dichiara di fare almeno con un’altra persona, e il cosiddetto co-viewieng, ovvero le persone che guardano insieme le serie tv e i film sul grande schermo casalingo. Insomma, non è facile crescere. Per questo “le aziende hanno deciso di 'sporcarsi le mani' con la pubblicità per correggere un qualche problema dei loro modelli di business, ovvero la stagnazione delle vendite del suo prodotto di punta (Apple), la decrescita del numero dei suoi abbonati (Netflix) o l’urgente necessità di ridurre le perdite di un progetto editoriale acquistato, a caro prezzo, per aumentare il numero propri abbonati digitali (New York Times/The Athletic)”, spiega sempre Simi.

 

Tutto questo almeno fino a quando questa scelta (più o meno razionale) sarà redditizia, ormai nessuna sorpresa se tra un anno si scegliesse un nuovo modo di fare business. Magari quello iniziale, puntando sulla qualità dei contenuti e sui prezzi concorrenziali. Chissà se un ritorno al passato possa essere il prossimo futuro.

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