(foto di Ansa)

ingegneria integrata

Transizione verde vuol dire innovazione. E pure robot. Parla Muccioli (Eni)

Stefano Cingolani

Come abbandonare le resistenze al cambiamento, dismettendo l'idea che transizione ecologica e transizione digitale siano in contrasto. Un esempio italiano

Se il mitico marziano di Ennio Flaiano atterrasse oggi a Roma e decifrasse la cacofonia pubblica sull’auto elettrica, la transizione energetica, il “suicidio economico” maturato tra Strasburgo e Bruxelles, avrebbe la sensazione che tecnologia e innovazione non s’addicano all’Italia. Altro che ripresa e resilienza, si mette in moto un piano di resistenza al cambiamento. E’ davvero così per chi studia, inventa, produce? O c’è una frattura tra l’immagine mediatico-politica e la realtà sociale? “Nella mia esperienza quotidiana trovo interesse, collaborazione, impegno a cambiare, non prevale la resistenza”, spiega al Foglio Annalisa Muccioli. E l’esperienza in questo campo non le manca davvero. Ingegnere, guida una organizzazione di mille ingegneri in sette centri, quattro in Italia e tre all’estero, che hanno lo scopo di elaborare e “mettere a terra” soluzioni innovative in un campo davvero molto vasto dalle energie rinnovabili alla decarbonizzazione, dalla economia circolare ai robot, fino alla fusione magnetica, vero fiore all’occhiello ormai sul punto di sbocciare: nei prossimi dieci anni passerà dalla sperimentazione alla produzione di energia al CFS, spin off del Mit di Boston.

 

Stiamo parlando di Eni Progetti che Annalisa Muccioli amministra dall’ottobre scorso. Una struttura così vasta di ingegneria integrata è un unicum nelle grandi aziende energetiche, ma ce ne sono pochi esempi in generale, anche se ormai non regge più la vulgata secondo la quale la tecnologia è una commodity, dunque sarebbe inutile sprecare risorse aziendali, meglio comprarle sul mercato come le materie prime. “Per me, al contrario, la tecnologia è il cuore pulsante della nostra realtà, fa leva sulle conoscenze e non è affatto indifferente al modo, al luogo, alle motivazioni con le quali si sviluppa”, ribadisce l’ingegner Muccioli.  L’Eni ha scelto di coltivare al proprio interno questo nocciolo di ricerca e sviluppo, pur senza nessuna chiusura; eppure non se ne parla molto. Potremmo dire che è un ulteriore esempio di quanto poco si sappia di un tema sul quale tanto si bisticcia. Annalisa Muccioli non cade nella trappola polemica: “Io amo la montagna e penso all’innovazione come a un percorso alpino: alla fine quel che serve davvero è prepararsi, acquisire conoscenza, dotarsi degli strumenti adatti e avere compagni di cordata fidati, competenti, disposti a collaborare fino in fondo”. Il resto è fuffa o a esser diplomatici si tratta di astrattezze ideologiche che non fanno parte del lavoro degli ingegneri Eni.

 

Anche il dilemma su quanto sia davvero sostenibile la sostenibilità, va visto nella sua concretezza. “Sostenibilità e innovazione vanno a braccetto. I nostri progetti sono strumenti per favorire la transizione energetica, rendendola compatibile con l’ambiente e con lo sviluppo”. Un esempio viene dai robot sviluppati in particolare nei laboratori di Venezia: dai sensori ai droni, dai bracci per la manutenzione da remoto ai sistemi sottomarini per garantire la sicurezza, un bouquet di innovazioni che s’arricchisce di volta in volta. I robot oltre la fantascienza, oltre la demonizzazione, oltre i terrori irrazionali: esistono grazie all’uomo, è l’uomo che li crea e li mette in opera. Il dibattito ormai plurisecolare sulle macchine che divorano il lavoro va riportato alla realtà.

 

Non convince Annalisa Muccioli nemmeno l’opposizione tra transizione digitale che consuma gran quantità di energia e transizione ecologica, al contrario l’una sostiene l’altra, la digitalizzazione ottimizza i processi e accelera il percorso. Non tutto è compiuto, è ovvio, ma la soluzione ai problemi che si presentano di volta in volta sta nello sviluppo continuo delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Visione e realismo, anche loro vanno di pari passo secondo l’ad di Eni Progetti. Un mondo tutto elettrico non è realizzabile e sarebbe anche un errore. “La salvezza non può venire soltanto dall’elettricità – sottolinea – Non ci sarà mai un’unica soluzione, al contrario dovremmo sempre favorire una combinazione di soluzioni diverse”. Possiamo chiamarlo pluralismo tecnologico, un buon supporto per una società aperta e pluralista.