(foto Ap)

I nanetti della politica nazionale incapaci di arginare i giganti tech

Carlo Alberto Carnevale-Maffè

Cina, Stati Uniti ed Europa: la nuova guerra mondiale oggi è con le grandi piattaforme

L’antitrust è la continuazione della (geo)politica con altri mezzi. Sulle Grandi Piattaforme Digitali globali si combatte oggi una specie di terza guerra mondiale, nuova forma di conflitto a bassa (per ora) intensità militare e ad altissima intensità tecnologica e finanziaria. Mentre i tank della repressione normativa ordinata dal regime di Pechino sferragliano sulle quotazioni di borsa e sulle prospettive commerciali di Didi Global e Ant, continuano i sabotaggi regolatori della fragile resistenza europea asserragliata a Bruxelles contro i nuovi imperialisti dei dati digitali, e a Washington riemerge qua e là il fiume carsico di un conflitto di potere tra politica nazionale ed economia globale, con la prima che soffre lo sfregio di poter essere legalmente zittita nelle piazze (private) dei social media in nome degli interessi della seconda.

I tre grandi blocchi geopolitici – Usa, Cina e Ue – hanno aperto, su fronti diversi ma convergenti, un regolamento di conti contro i colossi del web, colpevoli, ai loro occhi, di lesa maestà politica.

Con i loro stemmi araldici appesi ai portali d’ingresso, oltre le mura fortificate della tecnologia e tra i merli guelfi del mercato pubblicitario, le Grandi Piattaforme Digitali – direbbe lo storico medievale Marc Bloch – sono le nuove polis. Come accadde per la nascita delle città, l’aggregazione economica produce effetti di cittadinanza istituzionale, e genera nuove constituencies “politiche”, appunto.  Facendo leva sulle economie di prossimità e sugli effetti di rete, offrono al popolo un affrancamento dall’autoconsumo informativo che dipendeva da pochi e concentrati sistemi di accesso e distribuzione della conoscenza e propongono un nuovo ordine alla dispersione del sistema di scambi e relazioni umane. Quando la tecnologia produce reti sociali e relazionali, e quindi genera potenti effetti organizzativi ed economici, diventa un concorrente della politica. Per gli individui e per le organizzazioni, per le imprese e i loro prodotti, non essere presenti sulle Grandi Piattaforme Digitali è quasi equivalente all’essere apolidi. Se non è una scelta volontaria, ciò corrisponde alla perdita dei diritti di cittadinanza universale, a un ostracismo automatico nell’oblio dell’inaccessibilità. Aziende come Google o WhatsApp in occidente – così come WeChat o AliPay in Cina –  sono diventate sintassi ed esperanto civico, forme verbali originali della relazione tra persone, e addirittura neologismi, sostantivi che diventano verbi. 

Le Grandi Piattaforme Digitali sono dunque animali meticci, metà imprese private e metà nuove istituzioni globali. In esse la cittadinanza diventa bene economico, merce di scambio nel mercato dell’attenzione e dell’intenzione, dove l’ufficio anagrafe che registra le nostre scelte allo sportello d’ingresso – si badi bene, gratuito – nel parco delle meraviglie informative, alimenta, con quegli stessi dati, un proficuo commercio. 

A questo nuovo, invadente ruolo globale, reagisce la vecchia politica locale. Nel caso della Cina è un conclamato conflitto di potere, tra modernismo e autoritarismo, tra chi necessariamente dialoga con l’occidente tramite interfacce informative globali e chi ormai lo vuole sfidare, sullo stesso campo, perseguendo un nuovo modello di egemonia geo-tecnologica. Le devastazioni finanziarie sui valori di Borsa dei grandi gruppi tecnologici cinesi non sono danni collaterali di un antitrust sguaiato e grossolano. Al contrario, sono effetti intenzionali dell’azione di contenimento di pericolosi concorrenti nel campo della legittimità popolare; sono la manifestazione clamorosa del dominio della politica comunista sul sempre meno timido capitalismo finanziario locale e sulle sue ambizioni globali. I politici occidentali non reagiscono non solo perché impotenti, ma forse anche perché invidiosi di tale sfoggio di potere da parte del regime di Pechino.

Nel caso dell’Europa, le Grandi Piattaforme Globali sono viste come forme di costituencies meta-nazionali, che quindi sfidano la giurisdizione degli stati nazionali e contendono il terreno del consenso popolare – per efficienza, velocità e semplicità – al faticoso processo di costruzione federale intrapreso dalle istituzioni di Bruxelles. Lo testimoniano l’attivismo normativo europeo sulla legislazione dei dati digitali, gli atti su Data Governance e su mercati e servizi digitali; ma soprattutto lo dimostra la minimum corporate tax invocata in sede Ocse, dopo il fallito tentativo di imporre all’interno delle proprie minuscole giurisdizioni nazionali diverse forme, tutte risibili, di web tax, in realtà gabelle protezionistiche invocate da nanetti politici incapaci di comprendere la natura dei nuovi giganti tecnologici e delle leggi economiche che ne sottendono l’immenso potere.

Nel caso degli Stati Uniti il contesto è diverso: se da un lato le Grandi Piattaforme Digitali sono un simbolo dell’orgoglio yankee, estensione dell’imperialismo culturale americano, sono ormai diventate anche pericolosi antagonisti del primato della politica di Washington. Incarnano la West Coast del turbocapitalismo globale trionfante contro la East Coast della mediazione lobbistica nazionale. In questo quadro, non va trascurato il ruolo della Russia e di altri “rogue states”, che non potendo competere sulla massa critica, giocano spesso da guastatori con l’arma dei ricatti hacker.

Le stesse banche centrali, istituzioni ormai finanziariamente più potenti degli stati stessi con l’enorme espansione degli attivi patrimoniali avvenuta in risposta alla crisi pandemica, si sentono talmente minacciate nel loro ruolo da aver accelerato i piani di introduzione di monete digitali ufficiali come risposta alle minacce competitive che derivano dalle cosiddette “stablecoins” e in generale da tutto il mondo delle criptomonete globali.

Ora che è bruscamente terminata, dopo aver raggiunto capitalizzazioni da svariate migliaia di miliardi, la luna di miele con quelle che fino a pochi anni fa erano considerate simpatiche start-up per passatempi privati, si apre uno scenario di conflitto su diversi fronti: normativo, tecnologico, finanziario. La nuova guerra mondiale digitale è appena iniziata, e i suoi sviluppi sono imprevedibili.

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