Da dove arriva la fandonia che il 5G ha qualcosa a che fare con il coronavirus?
Nonostante il lavoro anti fake news dei social network alcune bufale si sono diffuse ugualmente, anche grazie alla collaborazione volenterosa dei media mainstream. Le tracce della disinformazione
Milano. Gunter Pauli, il consigliere del governo che a fine marzo aveva descritto su Twitter una correlazione farlocca tra diffusione delle reti 5G e diffusione del coronavirus, è soltanto l’esempio evidente, almeno in Italia, di un fenomeno ben più grande. In questi mesi di crisi i social network hanno fatto un lavoro eccellente nel cancellare e ridurre la portata di bufale e disinformazione riguardanti il coronavirus, ma non sono riusciti a raggiungere tutti gli anfratti delle loro stesse piattaforme. Alcune bufale si sono diffuse ugualmente, anche grazie alla collaborazione volenterosa dei media mainstream. Tra tante, la bufala secondo cui ci sarebbe un collegamento tra coronavirus e diffusione delle reti 5G (i cospirazionisti oscillano tra: il 5G genera il virus e i suoi sintomi e: il 5G facilita la diffusione del virus) è una delle più fantasiose e pericolose, e ha già provocato danni nel mondo reale: la settimana scorsa nel Regno Uniti cittadini impauriti hanno dato fuoco a una ventina di centraline del telefono, convinti che contenessero tecnologia 5G che provocava il virus (in realtà non c’era tecnologia 5G in nessuna delle centraline).
Wired Uk ha pubblicato un paio di giorni fa un articolo in cui ricostruisce la genesi della bufala. Ora, ricostruire come nascono teoria fantasiose e fasulle è un esercizio apparentemente inutile: che bisogno c’è di sapere chi è stato il primo a dire una fandonia? Per altro le bufale si agglutinano le une alle altre, in base alle mode e alle ossessioni di chi se ne occupa: in questo periodo va molto di moda dire che il 5G fa male (non è vero), e dunque appena è comparso il coronavirus è stato in un certo senso naturale per i complottisti collegare le due cose. Fosse stato il periodo d’oro delle scie chimiche, i complottisti si sarebbero inventati che il coronavirus viene scaricato in forma gassosa dagli aeroplani.
Ma l’esercizio di Wired è interessante perché, per mantenerci in ambito sanitario, risalire la catena dei contagi può contribuire alla prevenzione. Secondo Wired, il primo articolo in occidente a mettere assieme coronavirus e 5G non è stato pubblicato su un’oscura pagina Facebook ma su un’edizione locale di un giornale belga in lingua olandese, Het Laatste Nieuws, in cui era intervistato Kris Van Kerckhoven, un medico anti 5G che diceva: “Non conosco i fatti... ma potrebbe esserci un collegamento”. L’articolo è rimasto online per qualche ora il 22 gennaio (poi la redazione del giornale si è accorta del disastro e l’ha cancellato, un po’ come la Stampa, che però per cancellare un articolo simile uscito questa settimana ci ha messo un paio di giorni), e da lì, scrive su Wired James Temperton, si è scatenato il pandemonio. Qui è importante fermarci un secondo: se davvero il giornale belga è stato il primo a pubblicare la bufala su coronavirus e 5G, sarebbe una brutta sconfitta per la stampa mainstream.
Ma le bufale hanno genesi molteplici e spesso indipendenti, e per esempio Next Quotidiano, un giornale digitale che spesso si occupa del sottobosco della disinformazione online in Italia, ha scritto in un articolo di marzo che già il 26 gennaio una pagina Facebook italiana (chiamata Evoluzionari.net) faceva collegamenti tra coronavirus e 5G (l’articolo di Evoluzionari è un pasticcio confuso che considera il coronavirus come un errore si laboratorio cinese e come un’arma chimica americana e come la conseguenze del 5G: self service dei complottismi). Il post su Facebook è stato pubblicato solo pochi giorni dopo l’articolo del giornale belga, ma non lo cita, segno che forse le due teorie sono nate parallelamente, a pochi giorni di distanza. Rintracciare la disinformazione spesso è difficile quanto rintracciare un virus.
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